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POTENZA – Ergastolo per un omicidio mafioso scatenato da futili motivi.
E’ questa la richiesta avanzata ieri mattina dal pm Francesco Basentini della Direzione distrettuale antimafia lucana nei confronti del 55enne potentino Dorino Stefanutti, reo confesso della morte di Donato Abruzzese, l’imprenditore 44enne trucidato a Potenza, in via Parigi, all’una del mattino del 29 aprile 2013.
Ieri mattina davanti al gup Rosa Larocca – il processo si sta svolgendo con il rito abbreviato – hanno discusso anche l’avvocato Angela Pignatari per la famiglia di Abruzzese costituita come parte civile e i legali dell’ex boxeur potentino: Rita Di Ciommo e Salvatore Staiano.
Stefanutti, considerato lo storico braccio destro del boss Renato Martorano (in carcere a regime di 41bis per usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso) si è appellato alla scriminante della legittima difesa sostenendo di essere stato attirato in una trappola dall’ex amico.
La sua frequentazione con Abruzzese era un fatto noto ma nell’ultimo periodo, e soprattutto nei giorni che hanno preceduto l’omicidio diversi testimoni hanno raccontato che i rapporti tra i due si sarebbero raffreddati, anche se il perché non è ancora ben chiaro.
Agli inquirenti Stefanutti ha raccontato di aver rifiutato di fare da padrino al figlio della vittima e di aver discusso con lui, poche ore prima della sparatoria, su chi dovesse offrire da bere all’altro in un noto ristorante di Potenza. Questioni da guappi, insomma, a cui però nessuno sembra dare credito: né gli agenti della sezione anticrimine della mobile guidati dal vicequestore Carlo Pagano, né il pm Francesco Basentini della direzione distrettuale antimafia, che ha chiesto e ottenuto il suo arresto, poi confermato dal Tribunale del riesame. Tant’è che di recente tra i capi di imputazione a carico del boxeur sono comparse anche le minacce alla collaboratrice di Abruzzese che ha svelato i loro affari in comune proprio nel settore delle macchinette.
Stando sempre al racconto dell’unico imputato la calibro 9 semiautomatica che ha esploso 11 colpi, 5 dei quali sono andati a segno sul corpo di Abruzzese sarebbe stata portata sulla scena del crimine da un amico della vittima, che aveva “convocato” Stefanutti sotto casa sua per un chiarimento dopo la discussione nel ristorante per il suo rifiuto di fare da padrino al figlio. Poi una volta arrivato sotto casa del compare mancato avrebbe trovato l’amico con la pistola in mano, l’avrebbe disarmato e avrebbe cominciato a sparare rispondendo al fuoco aperto da Abruzzese che intanto era sopraggiunto dalle scale.
A smentire la versione di Stefanutti ci sono la moglie di Abruzzese che ha assistito all’antefatto della sparatoria dal balcone di casa e lo stesso amico di Abruzzese accusato di aver portato la calibro 9 che l’ex pugile ha raccontato di aver gettato via ma quando sono arrivati gli agenti del 113 era già scomparsa.
A nasconderla era stato sempre l’amico di Abruzzese che a distanza di qualche ora ha cambiato idea indicando il posto dove l’aveva messa assieme alle altre due che hanno sparato quella sera: una piccola 6,35 che ne ha esplosi 4, ferendo Stefanutti a una coscia; e un revolver 10,35 con una macchia di sangue sulla canna che ne avrebbe esploso uno solo.
L’udienza è stata rinviata al 6 ottobre per alcune brevi repliche.
A febbraio del 2013 Stefanutti era stato assolto dallo stesso gup Larocca per un altro omicidio, quello di Tiziano Fusilli colpito il 22 maggio del 1989 da un singolo colpo di pistola all’addome, mentre era al lavoro con una squadra di operai della comunità montana in via Adriatico, a poche centinaia di metri da via Parigi.
l.amato@luedi.it
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