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Non bisogna fermare i progetti buoni del Nord, ma si deve avere molto chiaro che la sfida è fare correre i progetti buoni del Sud nell’interesse dell’intero Paese che per qualità e quantità devono essere assolutamente predominanti. Su questo Sala & C. devono fare sistema. Il Sud a sua volta deve capire una cosa prima di tutto: aiutati che Dio ti aiuta. Questo moto di riscossa civile, organizzativo, culturalmente onesto deve pervadere l’intera comunità. È il passaggio fondamentale se no anche quando si andrà a rafforzare il capitale umano delle amministrazioni le clientele in agguato potrebbero distruggere tutto o quasi. Si attrezzi, però, subito una struttura centrale di Piano che accompagni tutte le procedure e si sfruttino queste mesi per dare esecutività alle riforme di amministrazione e giustizia.

Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha usato la consueta schiettezza. A chi gli chiedeva in conferenza stampa sulle polemiche di diversi esponenti politici del Nord perché si dava troppo al Sud con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza, ha detto che la priorità del Piano è l’inclusione e che l’obiettivo si raggiunge puntando a colmare le disparità territoriali, di genere e generazionali.

Che riguardano tutte e tre, con gradualità differenti, in modo determinante il nostro Sud segnato da un divario di reddito pro capite di oltre il 40% nei confronti del Centro-Nord. È un po’ come se avesse detto: il Piano esiste proprio per questo. Che vuol dire più precisamente: provare a riunire le due Italie, provare a risolvere il più grande squilibrio territoriale europeo che è quello del Mezzogiorno d’Italia. Quando si è reso conto che con la rigenerazione urbana erano rimasti fuori quasi tutti i Comuni del Nord ovviamente Franco è intervenuto.

Questo giornale ha più volte riconosciuto al governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi la coerenza meridionalista degasperiana dei governi del Dopoguerra. Sono governi che impostarono una politica economica che portò agli anni del miracolo economico italiano e a una stagione felice in cui i territori meridionali crescevano più di quelli settentrionali e il divario tra le due aree del Paese si restringeva di mese in mese. Oggi dobbiamo dirci le cose come stanno. Esiste un problema che riguarda tutte le amministrazioni regionali, prima di ogni altra ministeriale o comunale, con quelle del Nord un po’ meno inefficienti di quelle del Sud. 

Per cui chi tra Regioni e Comuni al Nord va più veloce, non deve essere bloccato e allo stesso tempo si deve fare di tutto perché chi nel Mezzogiorno è più indietro recuperi in fretta. Non bisogna fermare i progetti buoni del Nord, ma si deve avere molto chiaro che la sfida è fare correre i progetti buoni del Sud nell’interesse dell’intero Paese che per qualità e quantità devono essere assolutamente predominanti. 

Ai nostri occhi il Pnrr ha un senso strategico e un contenuto effettivo solo se diventa alla voce fatti il progetto buono della riunificazione del Paese e, per questo, è evidente che dai treni veloci alla banda larga, dal capitale umano alla ricerca, il Mezzogiorno deve avere la priorità assoluta nella quota di investimenti redistribuiti, ma ancora di più nella capacità progettuale e esecutiva di concepire e attuare tali investimenti.
Questa è la sfida cruciale del Mezzogiorno e dell’intero Paese. 

Su questo, non su altro, deve scommettere e fare sistema il sindaco di Milano, Beppe Sala, come deve fare la parte più avveduta dell’imprenditoria manifatturiera italiana. Come sta dimostrando di capire e fare Stellantis investendo in innovazione e ricerca in modo da aumentare prodotti di qualità e volumi negli impianti del Mezzogiorno dell’ex Fiat-Chrysler che Marchionne volle all’avanguardia e pienamente inseriti nelle piattaforme globali. 

Il Sud deve capire una cosa prima di tutto: aiutati che Dio ti aiuta. Questo moto di riscossa civile, organizzativo, culturalmente onesto deve pervadere l’intera comunità. È il passaggio fondamentale se no anche quando si andrà a rafforzare il capitale umano delle amministrazioni le clientele in agguato potrebbero distruggere tutto o quasi. Il governo deve impegnarsi ad assicurare il massimo di consulenza tecnica possibile e immaginabile con Cassa depositi e prestiti e tutte le strutture in grado di fornire apporti concreti e specifici. Il ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) può vigilare e, soprattutto, stimolare, assemblare competenze, agire di supporto. 

 Non illudiamoci, però, perché tutto questo non basta. Perché bisogna correre e così frazionati si rischia di aumentare la velocità dei singoli, non quella della squadra. Occorre una struttura centrale che accompagni tutte le procedure di Piano e non può essere nient’altro che l’Agenzia della coesione non per quello che è ma per quello che si sta facendo di tutto che diventi. Questo è un passaggio molto delicato, ma estremamente decisivo in quanto riguarda la qualità delle risorse umane impiegate e la qualità di chi la guida. Si deve capire che la musica è cambiata.

Perché, diciamocela tutta, quest’anno ci potremo ancora consolare con la crescita del numero dei bandi e del tasso di aggiudicazione delle gare, ma dall’anno prossimo i cantieri dovranno essere aperti tutti. Non uno sì e uno no. Non potremo mai e poi mai ritrovarci con il fatto che al Sud avanzano   un pochino solo i lavori dei cantieri dei grandi soggetti di rete, come Ferrovie, e tutto il resto langue.

Per cui, ad esempio, potremmo ritrovarci che abbiamo messo più di due miliardi per fare gli asili nido e gli asili nido non si fanno e tutti continuano nello sport delirante di chiedere più soldi senza spendere quelli giganteschi che hanno già avuto. Così come in questi mesi che ci separano dalla fine dell’anno lo snellimento di tutte le procedure esecutive legate alla riorganizzazione della pubblica amministrazione e l’attuazione di tutte le riforme della giustizia devono essere realtà.

Perché se a valle abbiamo problemi, a monte soffriamo di vertigini da prestazione. Almeno diciamocelo e poniamo rimedio. 


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