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«SIAMO arrabbiati, per noi è una festa e la ‘ndrangheta non c’entra». Sono infuriati i devoti calabresi per la cancellazione della processione di San Bartolomeo a Giffone, paese della provincia di Reggio Calabria. Si tratta di uno degli effetti del provvedimento preso dal vescovo di Oppido-Palmi, dopo la vicenda del presunto «inchino» dell’inchino al boss nella frazione Tresilico di Oppido Mamertina (LEGGI).
La decisione del presule ha congelato tutte le funzioni legate alla religiosità popolare, che in estate si moltiplicano in Calabria in occasione anche del rientro delle persone che durante il resto dell’anno lavorano in altre città o in altre regioni. Anche la processione per San Bartolomeo ha seguito la stessa sorte. E alla fine si è svolta però a Fino Mornasco, in provincia di Como, nel paese che la gente chiama la «piccola Giffone» a causa dell’alto numero di emigranti. Ma, assicurano i fedeli, «non può essere la stessa cosa».
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«Per colpa di pochi hanno distrutto la nostra tradizione», raccontano al microfono gli emigranti. Per loro la festa di San Bartolomeo era un appuntamento simbolico: segnava la fine delle vacanze per chi rientrava in estate nel paese d’origine: «Alcuni caricavano i bagagli in macchina poi andavano alla processione prima di partire». Quest’anno invece si sono radunati in Lombardia, nell’appuntamento che già si svolgeva negli anni passati dietro alla statua “clonata” dagli emigranti grazie a un santino che tutti portavano con sé lasciando il paese.
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Un rito che, nella frazione Andrate di Fino Mornasco, è durato oltre tre ore con una gran folla. «Non ci inchiniamo a nessuno», ha detto il parroco don Pierino Riva aggiungendo: «Il vescovo di Oppido-Palmi ha fatto bene a cancellare le processioni per dare un segnale forte alla gente».
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