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«L’umorismo è lo zucchero della vita. Ma quanta saccarina in commercio!» Con questa frase Trilussa avrebbe stroncato la battuta di Giovanni Veronesi, illustre regista francamente sconosciuto ai più, trascuratamente gettata in faccia alla città di Potenza, capoluogo della regione Basilicata, proprio mentre nel piatto succoso di un festival del cinema lucano egli stava inzuppando il suo bel boccone di pane. Una provocazione? Possiamo anche dire così se vogliamo continuare su una scia inaugurata da tempo che contempla in elenco anche le banane di Tavecchio, ma se vogliamo essere seri dobbiamo cominciare a distinguere ciò che è ironia e ciò che è spirito critico da ciò che non lo è affatto; quella della provocazione, infatti, è un’arte raffinata e non basta essere “toscanacci” per possederla e padroneggiarla.
E dunque una provocazione che non ha il crisma della provocazione è solo un modo banalissimo e superficialotto per far parlare di sé, per tentare di lasciare un’impronta di dinosauro avendo il piede di paperino. E Veronesi, che suppongo non abbia fatto ridere granché dicendo che Potenza e Foggia sono città brutte (qualcuno spieghi se può dove sta la battuta), bene farebbe a rivedere il proprio repertorio, perché se le sue analisi avessero una maggiore profondità di quelle che si evincono dalle melliflue storie d’amore che racconta e dalle trame un po’ scontate delle sue saghe patetico-sentimentali, forse una provocazione l’avrebbe fatta in altro modo.
E già, caro il nostro regista, perché un artista non si aspetta che la bellezza gli vada incontro con il braccio teso ed il sorriso largo (“Piacere signore, io sono la bellezza!”), ma sa che il suo mistero è quasi imperscrutabile tanto che in ciò che meno appare c’è sempre un guizzo e il brutto e il bello, seppure potessero esistere davvero in una loro totale e assoluta oggettività, sarebbero illeggibili l’uno senza l’altro. Un artista la bellezza la trova laddove non si evidenzia in immediato – è questa la vera provocazione – la cerca come un’anima che dà respiro ai luoghi, come una storia che ne fa amare anche le cicatrici.
Un vero artista sa che la bellezza è dentro le cose e non solo nella loro esteriorità. E poi, a volerla dire tutta, evitare di offendere chi ti onora è un fatto di educazione e oggi più che mai anche l’educazione è un’arte; pur salvaguardando, quindi, la liceità di un giudizio meramente estetico e del tutto personale, si potrebbe suggerire al regista di lasciar perdere i manuali d’amore, tanto l’amore non s’insegna e non s’impara se non nella “brutta” quotidianità di ciascuno, e darsi ad un manuale di buone maniere, magari per fortificarsi nell’idea che se qualcuno ti invita a casa sua sarebbe bene non sputargli sul pavimento.
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