Giuseppe Giampà
3 minuti per la letturaLAMEZIA TERME (CATANZARO) – La Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro (confermando, dunque, le pesanti condanne inflitte) emessa due anni fa (relativamente a due procedimenti poi unificati) nei confronti dei collaboratori di giustizia Giuseppe Giampà (figlio dello storico capocosca Francesco “il “professore”), Angelo Torcasio, alias “porchetta”, Saverio (ex killer della cosca Giampà), Giuseppe e Rosario Cappello (padre dei primi due), Battista Cosentino e Francesca Teresa Meliadò (moglie di Giuseppe Giampà).
Associazione mafiosa, omicidi (anche tentati), furti, rapine, detenzione illegale di armi, estorsioni e ricettazione, queste le accuse, a vario titolo, per gli ex esponenti della cosca Giampà divenuti collaboratori di giustizia.
In particolare, per l’ex boss Giuseppe Giampà e Angelo Torcasio le accuse sono relative al concorso nell’omicidio di Vincenzo Torcasio, detto Carrà e al concorso nell’omicidio di Francesco Torcasio, detto Carrà (figlio di Vincenzo, quest’ultimo ucciso a giugno del 2011 in un campo di calcetto mentre Francesco Torcasio fu ucciso un mese dopo quando fu freddato in auto in via Misiani da Francesco Valise, killer implacabile della cosca e reo confesso dopo aver anche lui “saltato il fosso”) a Giuseppe Giampà il concorso nel tentato omicidio di Umberto Egidio Muraca e di Angelo Francesco Paradiso, concorso nella rapina in danno di SDA, concorso nella rapina in danno di Grazia Dell’Olio, Nicola Greco e Alberto Antonio Viscomi e concorso nella rapina in danno di Daniela Canino, titolare della gioielleria Le Meraviglie con sede in Catanzaro. Angelo Torcasio, oltre all’associazione di stampo mafioso, ha dovuto rispondere anche di un’estorsione aggravata in danno di Francesco Giampà e Pietro Giampà titolari di esercizi commerciali.
A Saverio, Rosario e Giuseppe Capello Cappello,le condanne sono giunte per associazione di stampo mafioso, mentre per Battista Cosentino, oltre alla partecipazione a associazione di stampo mafioso, la condanna è relativa anche per il concorso nella rapina in danno di Vincenzo Giampà. Per Meliadò le accuse sono relative alla partecipazione all’associazione mafiosa e estorsione.
In primo grado, in una delle due sentenze. gli imputati erano stati condannati a 16 anni e 6 mesi Giuseppe Giampà; 15 anni e 8 mesi Angelo Torcasio; 5 anni Saverio Cappello, 7 anni e 4 mesi Rosario Cappello; 4 anni Giuseppe Cappello; 7 anni Battista Cosentino er 6 anni e 8 mesi Meliadò. Nella seconda sentenza, 20 anni furono inflitti a Giuseppe Giampà, 18 anni a Angelo Torcasio, 17 anni e 6 mesi a Saverio Cappello; 16 anni e 6 mesi a Rosario Cappello, 6 anni a Giuseppe Cappello, 15 anni a Battista Cosentino, 6 anni e 8 mesi a Francesca Teresa Meliadò.
Contro questa sentenza, fu presentato ricorso e la Corte di Assise di appello di Catanzaro provvedeva alla riunione di due procedimenti, siccome connessi sul piano soggettivo ed oggettivo e, con sentenza del10 dicembre 2019, riformava parzialmente le due pronunce di primo grado rideterminando le pene inflitte: 25 anni anni 5 mesi di carcere nei confronti di Giuseppe Giampà; 18 anni e 11 mesi nei confronti di Angelo Torcasio; 15 anni per Saverio Cappello; 13 anni, 10 mesi e 20 giorni nei confronti di Rosario Cappello; 3 anni e 10 mesi e 1000 euro di multa nei confronti di Giuseppe Cappello; 9 anni, 5 mesi e 20 giorni nei confronti di Battista Cosentino e 4 anni, 2 mesi e 1200 euro di multa nei confronti di Francesca Teresa Meliadò, previa unificazione dei reati giudicati con quelli oggetto della sentenza del 22 gennaio 2015 della Corte di appello di Catanzaro.
«Già le due separate sentenze di primo grado – scrivono i giudici della prima sezione penale della Cassazione (presidente Giacomo Rocchi) – hanno rilevato che, pur potendosi positivamente apprezzare il contributo conoscitivo offerto dagli imputati, risultato decisivo per la comprensione della dinamica dei fatti criminosi giudicati ed integrante ampia confessione, tale da consentire di riconoscere loro la circostanza attenuante. Ciò nonostante non erano rintracciabili altri elementi positivi diversi dalla collaborazione prestata con la giustizia per accordare anche le attenuanti generiche».
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