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Il porto di Augusta

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È successo qualcosa di importante nel Mediterraneo ma pare che l’Italia non se ne sia ancora accorta. È ridiventato centrale rispetto ai traffici internazionali.

La vivacità economica di Cina e India, e la centralità acquistata da parte dell’Africa e del Medioriente, compresi l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e l’Oman, ne hanno fatto uno dei centri dei traffici mondiali.

La lunga teoria di navi max-porta container, grandi quanto un campo di calcio e che portano tanti container che messi uno dietro l’altro farebbero 25 km di coda, è un fenomeno del quale il nostro Paese pare non essersi accorto. Ed invece di operare come ha fatto il Marocco, che ha attrezzato TangeriMed, che già occupa 70.000 persone, ci concentriamo su due porti importanti ma delocalizzati, come Genova e Trieste, lasciando totalmente periferici e marginali Gioia Tauro ed Augusta, che sono ad un tiro di schioppo dal Canale di Suez, raddoppiato in tempi brevissimi con un grande investimento. Infatti Il 6 agosto 2015 è stato inaugurato il raddoppio di una parte del Canale.

Il progetto aggiunge una nuova seconda corsia di navigazione di 35 km di lunghezza ai 164 chilometri esistenti, consentendo il passaggio in maniera separata delle navi in direzioni opposte. Ed il traffico è aumentato enormemente. Ma quello che non è accaduto e la convergenza di tale traffico verso i porti italiani.

Eppure le navi max porta container hanno l’esigenza di viaggiare il meno possibile per due ordini di motivi: uno perché la velocità in mare è inferiore a quella che si può raggiungere via terra, due perché l’inquinamento prodotto dal trasporto via mare è estremamente elevato e non più compatibile con gli obiettivi che l’Europa vuole raggiungere.

La Commissione Europea ha adottato una serie di proposte per trasformare le politiche dell’UE in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. E quindi il traffico su Rotterdam va dirottato. Se si pensa che Rotterdam riesce ad occupare tra addetti diretti ed indiretti, in quello che oggi è il porto più importante d’Europa, circa 700.000 addetti si capisce di che cosa stiamo parlando.

La Sicilia nel tempo è stata sempre oggetto di grande attenzione da parte di molti popoli che sul Mediterraneo si affacciano, proprio per la sua centralità geografica posta come è a fare da ponte tra l’Europa continentale e il NordAfrica.

greci, i romani, gli arabi, gli inglesi, gli spagnoli, i tedeschi hanno dedicato un’attenzione particolare al triangolo Mediterraneo che appartiene all’Italia.

Solo l’Italia non si accorge di avere Augusta ad un tiro di scoppio da Suez. Tranne che per individuare un porto sicuro quando bisogna dare un attracco alle ONG cariche di migranti.

E continua a tralasciare tale porto, con fondali importanti che non si insabbiano, ma che andrebbe bonificato. Rada nella quale i sedimenti pericolosi sono circa 700mila metri cubi, ma fuori la Rada sfiorano i 100 milioni.

Insipienza? Incapacità di una visione meno centrata sull’ombelico della pianura padana? Autolesionismo puro? Eppure l’Europa ha capito bene che la strada del recupero della piattaforma logistica del Mediterraneo è da perseguire, mentre nell’ultimo incontro bilaterale Macron Draghi si fa il punto sulla situazione libica per cercare insieme, finalmente, dopo gli errori di Sarkozy, di aiutare il Paese a raggiungere nuovi equilibri più democratici e ad isolare i signori della guerra.

Anche perché la Libia è strategica per contenere i flussi migratori provenienti dal centro dell’Africa, che lì trovano i mercanti di carne umana per l’attraversamento.

Per questo un’attenzione particolare andrebbe riservata a tutti i collegamenti con il Nord Africa non solo commerciali ma anche di formazione e di studio che prevedono scambi tra i popoli delle due rive. E niente è più vicino da tanti punti di vista del sud dell’Italia a loro. A tali popoli guardiamo con attenzione, a quello che accade a Mazara Del Vallo, nella quale la comunità tunisina e quella indigena convivono in pace ed in sinergia rispetto alle esigenze della pesca e della agricoltura dell’area.

Come pure a pensare a dei centri sanitari di eccellenza dove offrirsi di curare l’alta borghesia tunisina, marocchina, algerina o libica, che oggi si reca a Londra ma che anche da un punto di vista climatico sarebbe più a suo agio da noi. Come anche l’organizzazione di grandi eventi in comune potrebbe essere un modo di far crescere anche quelle realtà, perché la loro evoluzione verso un processo democratico, che va di pari passo con la crescita economica, diventa fondamentale perché il Mediterraneo diventi un mare di pace! Raggiungere questo obiettivo è fondamentale.

d il nostro Paese si deve candidare ad essere interlocutore privilegiato rispetto ai processi che vanno avvenendo. Ma per far questo è necessario prima di tutto collegare bene tutta la piattaforma logistica che invece è assolutamente staccata dal resto del Paese e dell’Europa dal punto di vista infrastrutturale. Ma tutto questo subito, il tempo è già scaduto.


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