Don Ennio Stamile
3 minuti per la letturadi DON ENNIO STAMILE
LA giornata del 21 marzo è un po’ la storia di Libera. Questa realtà ormai presente e radicata anche in diversi altri Paesi europei e in America Latina, nasce per fare memoria delle vittime innocenti delle mafie. Il suo fondatore, don Luigi Ciotti, ne ha avuto l’ispirazione in un momento che ricordava uno degli eventi più tragici della nostra storia: il primo anniversario della strage di Capaci, dove furono barbaramente assassinati il giudice Falcone, Francesca Morvillo, gli uomini di scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Fu proprio il dolore della madre di quest’ultimo, che lo scosse profondamente fino fargli comprendere che quel dolore non poteva essere lasciato solo, men che meno le persone uccise, con i loro nomi, volti e storie andassero dimenticate. Sono trascorsi ventidue anni dalla fondazione di Libera, non sono mancate le incomprensioni, le sofferenze, le calunnie.
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Anche se potrebbe sembrare paradossale, per alcuni versi lo è, il bene passa attraverso il crogiolo della sofferenza di chi si impegna a farlo. Ma la sofferenza non ferma il bene, al contrario lo rende fecondo, purifica il cuore e la mente di chi si dispone a farlo rendendolo più umile, più capace di ascolto. In questi ventitré anni di storia tanto è il bene che uomini e donne, che compongono questa Associazione, assieme a don Luigi hanno seminato. Ciò che mi conforta ed immagino molto più proprio don Ciotti, è il fatto che questo periodo di preparazione al 21 marzo è ricco di tanti segni positivi, per quel Noi che rappresenta Libera, che stanno accadendo anche in Calabria, terra di confine, di marginalità, di disoccupazione, di malasanità, di ndrangheta, ma che rimane comunque una terra unica, di una bellezza straordinaria che non solo Libera, ma tutti coloro che sono schierati dalla parte del bene sono chiamati a contemplare, custodire, testimoniare.
Dalla contemplazione nasce lo stupore per il bello, per il creato, quindi il pensiero che forma ed informa il nostro essere. Allora la nostra azione sarà prevalentemente impegnata alla custodia della bellezza, appunto perché agere sequitur esse, quindi finalmente in grado di testimoniare quella “eresia” della bellezza che salverà il mondo, che è scelta per il bene comune, anche pronunciando quei No decisi a tutte quelle forme di corruzione, collusioni, raccomandazioni che sono il nutrimento delle mafie e della mentalità mafiosa.
Peppino Impastato, amava ripetere “se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”. Abitudine, rassegnazione, paura, omertà, sono stati in questi anni, ciò che ha contraddistinto tanta parte di quei calabresi che si sono lasciati ammaliare da una tragica fatalità a volte chiamata anche destino. Ci sono tanti segni di speranza: da parte di chi sa reagire alla sofferenza trasfigurandola in impegno quotidiano ad educare le coscienza anche attraverso il proprio dolore; di quegli imprenditori vessati, spesso lasciati soli nelle loro battaglie, che sanno opporsi con i loro No a ricatti, soprusi, violenze; di giornalisti coraggiosi che, come ha insegnato Pippo Fava, hanno “un concetto etico di giornalismo”. Pippo era convinto che “un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. Pretende il funzionamento dei servizi sociali”.
Scelte importanti sono state fatte dalla Conferenza episcopale Calabra, anche riguardo al percorso formativo dei candidati al sacerdozio che vedono inserito nei loro corsi formativi anche uno sulla ‘ndrangheta. La prima scuola regionale sui beni confiscati promossa da Libera ed inaugurata in questi giorni. Per la prima volta nella sua storia la giornata del 21 marzo viene riconosciuta giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Questi sono autentici segni di speranza che stimolano il nostro impegno quotidiano perché a quella interminabile lista di nomi che leggeremo non solo a Locri ma in altri quattromila altri luoghi non si aggiunga più nessun altro.
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