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POTENZA – Mai commesso reati, né saputo di quelli commessi da altri, o «collaborato con alcuno». Il “quasi pentito” di Rionero smentisce il verbale a suo nome sugli affari criminali dei Barbetta. In più annuncia che a breve sarà in Tribunale per «guardare negli occhi gli agenti autori di affermazioni non corrispondenti alla verita», e si siederà «in prima fila per comprendere come potrà in futuro avere fiducia nei garanti della legge e della giustizia che oggi lo offrono a più riprese in pasto alla gogna mediatica».

Attacca giornali e investigatori S.D., il 38enne indagato per armi ed estorsione nell’ambito dell’inchiesta dei carabinieri sulle imprese dei fratelli Aniello e Donato Barbetta, più il padre Rocco Gerardo, noto pregiudicato del posto, e personaggi del calibro di Giovanni Plastino, condannato in via definitiva per associazione mafiosa coi melfitani Cassotta, e lo stesso Sergio Cassotta, fratello maggiore del boss Massimo Aldo.

La sua replica, attraverso l’avvocato Giuseppe Molinari, è arrivata a distanza di 36 ore dalla pubblicazione sul Quotidiano della Basilicata di ampi stralci di quel verbale in cui racconta di temere per la propria incolumità a causa di un contrasto con Rocco Barbetta.

A provocare la frizione sarebbe stata la demolizione di una Bmw 330 intestata a S.D., anche se i suoi reali proprietari sarebbero stati proprio Barbetta e Plastino, che è chi l’avrebbe utilizzata. Almeno fino a quando non ha incontrato un  posto di blocco e ha deciso di darsi alla fuga. Di qui la decisione di demolire l’auto per denunciare il furto ed evitare problemi.

Barbetta non avrebbe “gradito” per nulla, e a questo punto avrebbe chiesto a S.D. 2mila euro di risarcimento, arrivando a minacciarlo e a tentare un’irruzione a casa sua.  Per questo il “prestanome” infedele sarebbe “fuggito” dai carabinieri del nucleo operativo radiomobile di Melfi e avrebbe cominciato a parlare a ruota libera: confessando di far parte di un’associazione a delinquere e aggiungendo dettagli sulla «compravendita di stupefacenti con criminali del “foggiano”, le rapine con assalti ai portavalori e la compravendita di armi». Parole raccolte in un verbale che avrebbe rifiutato di firmare prima di parlare con un magistrato, ma che comunque avrebbero trovato «ampia  conferma nelle indagini svolte» dai militari al comando del capitano Antonio Milone. 

«Perché mai uno che teme per la propria vita e sceglie di collaborare si rifiuta di firmare il verbale e non chiede di sottoporsi ad interrogatorio al fine di ottenere protezione?» Si domanda allora l’avvocato Molinari, che poi aggiunge che il suo assistito «non si sottrarrà al giudizio» in cui potrebbe figurare come parte offesa da Rocco Barbetta e coimputato dei figli Aniello e Donato.

«Il signor S.D. – conclude l’avvocato – senza timore di smentita, afferma la propria innocenza e la propria estraneità ai fatti; in ragione di ciò non ha mai avuto conoscenza di fatti penalmente rilevanti e non, che riguardino tutti gli altri indagati; non ha mai collaborato con alcuno, non offre nè potrebbe, per le ragioni anzidette, offrire collaborazione in vista del giudizio che lo vedrà imputato».

l.amato@luedi.it

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