A sinistra braccianti sfruttati nei campi (foto di repertorio). A destra l’ex prefetto Michele di Bari direttore del dipartimento Immigrazione dimessosi ieri dopo il coinvolgimento della moglie Rosalba Bisceglia nell’inchiesta della procura di Foggia.
4 minuti per la letturaAvrebbe curato lei le formalità amministrative per ingaggiare i braccianti nell’azienda agricola di famiglia rapportandosi, assieme al fratello Matteo, con Bakary Saidy, il 33enne al centro dell’inchiesta della procura di Foggia che ha portato a cinque arresti, due in carcere e tre ai domiciliari, e 11 obblighi di firma e dimora per intermediazione illecita.
Quello di Rosalba Livrerio Bisceglia è il nome tra i 16 indagati dai carabinieri di Manfredonia e del Nucleo investigativo per la tutela del lavoro (Nil) che ha suscitato più clamore e portato alla ribalta nazionale l’inchiesta sullo sfruttamento di braccianti migranti nelle campagne del foggiano. Un nome, quello della moglie di Michele di Bari, uomo delle istituzioni, direttore del dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione al ministero dell’Interno dal 2019, già viceprefetto di Foggia, e prefetto a Vibo Valentia, Modena e Reggio Calabria, che ha scatenato anche una serie di frizioni interne al governo.
Era prefetto di Reggio quando dichiarò di voler smantellare il sistema di sfruttamento di manodopera e illegalità nella piana di Gioia Tauro e nella baraccopoli di San Ferdinando, incise nell’azione dello Stato contro il sistema di accoglienza (un modello studiato anche all’estero) ideato dall’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, condannato lo scorso settembre dal tribunale di Locri a 13 anni e 2 mesi di reclusione. L’uomo era approdato nel dipartimento Immigrazione del Viminale per volere dell’allora ministro Matteo Salvini.
Alla notizia dell’inchiesta che ha coinvolto la moglie si è dimesso aprendo ad attacchi, da destra, all’attuale ministra Luciana Lamorgese. Secondo il gip Margherita Grippo che ha firmato le 123 pagine dell’ordinanza delle misure di custodia cautelare, nell’azienda agricola Bisceglia si «assumeva o, comunque, utilizzava o impiegava manodopera costituita da decine di lavoratori di varie etnie, per lo più di origine africana, facendoli lavorare in condizioni di sfruttamento» attraverso l’intermediazione del caporale Saidy.
Lavoro in condizioni retributive, igieniche, di sicurezza e salubrità non a norma. Il tutto «approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano presso in abitazione fatiscenti presso la zona di Borgo Mezzanone», luogo, quest’ultimo, conosciuto come il ghetto, per via delle baraccopoli che ospitano centinaia di lavoratori di origine straniera.
Alla donna è stato imposto l’obbligo di firma e dimora a Manfredonia perché «consapevole delle modalità della condotta di reclutamento e sfruttamento». Coinvolte in tutto 10 aziende agricole che tra luglio e ottobre dello scorso anno si sarebbero rivolte ai caporali per ingaggiare manodopera dal ghetto. Kalifa Bayo, 32enne senegalese, è il secondo finito in carcere. I lavoratori, in alcune, erano pagati 5 euro a cassone riempito di pomodori, mentre 5 finivano nelle tasche del caporale in cambio del trasporto.
L’impiego della manodopera nell’azienda Bisceglia sarebbe avvenuta invece «in violazione dei contratti collettivi con paghe da 5 euro e 70 centesimi l’ora, a fronte di una giornata lavorativa di circa 8 ore» mentre «il pagamento avveniva anche conteggiando il numero di cassoni raccolti, violando reiteratamente la normativa di settore relativa all’orario di lavoro ed ai periodi di riposo, in quanto impiegavano i lavoratori, senza riconoscere loro la retribuzione per l’orario di lavoro straordinario, senza pause e senza consentire l’utilizzo di servizi igienici idonei, violando la normativa in materia di sicurezza e igiene sul lavoro».
Mancavano anche dispositivi per la prevenzione degli infortuni». Non solo. Per i magistrati i lavoratori sarebbero stati sottoposti a un controllo continuo da parte di Matteo Bisceglia e dallo stesso Saidy. «Porta da Nico tutti i documenti. Devi portare prima perché devo fare ingaggi e poi il giorno dopo iniziate a lavorare» è uno dei passaggi della telefonata del 12 settembre 2020, tra Rosalba Livrerio Bisceglia e Saidy. E ancora «Se hanno i documenti me li porti domani mattina e dopodomani i documenti giusti» così da poter procedere con l’assunzione.
Bisceglia ha respinto ogni accusa dicendosi fiduciosa nella giustizia e certa che tutto è stato fatto in regola. «Mi hanno contestato un’ispezione il 15 settembre 2020, giorno stesso – ha spiegato – in cui avrei assunto 12 braccianti, sei italiani e sei stranieri. Ma io ho tutta la documentazione che attesta che l’assunzione è avvenuta il giorno prima. Manodopera che ho sempre pagato regolarmente con bonifici bancari. Affinché fosse tutto in regola – ha aggiunto – mi sono anche accertata che i braccianti avessero un regolare permesso di soggiorno».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA