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IL QUADRO che emerge dalle anticipazioni del rapporto SVIMEZ 2014 sull’economia meridionale è quello di un Sud in condizioni drammatiche. Siamo al sesto anno consecutivo di recessione e la situazione continua a peggiorare. L’economia meridionale è ferma, stagnante, molto profonda è stata la distruzione della sua capacità produttiva ed inadeguate si sono rilevate le politiche sociali. I numeri su povertà e disoccupazione, soprattutto giovanile, sono estremamente negativi. Vivono in condizioni di povertà assoluta il 13% delle famiglie ed il tasso di disoccupazione giovanile è del 28%. Mentre l’Europa ormai esce dalla crisi e riprende a crescere, mentre crescono anche i Paesi dell’Est, l’Italia ha ancora numeri negativi ed il Sud con un calo del PIL del 13,3% in 6 anni è dopo la Grecia la macroarea Europea con la più forte regressione economica. Perché succede questo nel Sud? Non è semplice rispondere, ci sono sicuramente tanti motivi, come sicuramente vi è una responsabilità primaria delle classi dirigenti, con in primis quella politico-istituzionale, del Mezzogiorno ove ancora clientelismo, frantumazione della spesa, Pubblica Amministrazione inadeguata, corruzione e carenza di una visione di futuro rappresentano elementi fortemente presenti e fortemente penalizzanti, ma accanto a ciò vi è anche altro. Emerge dal rapporto una totale assenza di politiche per il Mezzogiorno. La spesa pubblica per investimenti nel Sud negli ultimi 40 anni ha avuto un progressivo cedimento, oggi vale un quinto rispetto agli anni settanta, contro una sostanziale invarianza nel resto del Paese. Ugualmente succede nella spesa sociale. Si conferma che il nostro è un Paese che ha una spesa pubblica molto malata e molto sperequata. Cosa fare?
Servono tante cose, ma serve soprattutto partire subito. Nel Sud c’è un vero deficit nei requisiti di cittadinanza, una grande carenza di capitale sociale che rappresenta una precondizione per attuare serie politiche di sviluppo. È stato un grave errore storico ritenere che i seri problemi sociali dei nostri territori potessero trovare soluzione solo dopo aver raggiunto un soddisfacente livello di crescita. Non c’è stata crescita perché non si è costruito un adeguato capitale sociale. Partire subito significa quindi avviare un grande Piano di Investimento Sociale, asili nido, scuole materne, mense per favorire scuole a tempo pieno e poi istruzione, sicurezza personale e giustizia, assistenza all’infanzia, agli anziani, ai malati. Far salire il capitale sociale significa mettere basi solide per il futuro, aiutare i Comuni e sostenere una nuova economia. Occorrono poi anni e anni di tanta buona politica sui territori, non quella ipertrofica e pervasiva che abbiamo, ma quella capace di saper indirizzare utilmente le risorse, mettere mano ad un terziario patologico ancora da disboscare, superare ogni logica di tipo assistenziale, combattere la corruzione ecc. Il futuro del Sud è nel suo stesso protagonismo, nelle sue stesse mani, ed in quelle di un governo capace di guardare al Meridione come opportunità e non come zavorra per il Paese, capace di garantire una visione unitaria degli interventi e attivare tre motori: dello sviluppo locale, delle infrastrutture sovraregionali e delle politiche mediterranee.
Non possiamo perdere la prossima occasione del ciclo di programmazione 2014/2020. Le parole d’ordine devono essere, rigore, trasparenza, efficienza. Bene fa Graziano del Rio a lanciare messaggi inequivocabili, e dire con chiarezza che non ci sarà nessuna tolleranza ove vi sono inefficienze. Alla presentazione del Rapporto Svimez ci ha parlato di ben 450 mln di euro disponibili e non spesi a Gioia Tauro per il suo porto. Non so se siamo partiti con il piede giusto, ci sono infatti problemi nazionali con un accordo di Partenariato Nazionale con l’UE non ancora definito come ci sono molti problemi con i POR regionali, ancora troppo vaghi, poco concertati e fuori da disegni strategici. Di certo sappiamo che il tempo a disposizione è breve per evitare che il Sud malato risucchi velocemente anche i tanti Sud virtuosi pure esistenti ed annulli definitivamente ogni possibilità di sviluppo. Abbiamo bisogno di una svolta profonda e di una forte discontinuità con il passato. Occorre avere il coraggio di dire di aver sbagliato e di cambiare, solo così sarà possibili creare una prospettiva credibile e fare del Sud non il problema, ma la soluzione del problema Paese.
Ancora una annotazione, quella che viene da chi ha fatto il Sindaco ed il Presidente di Provincia. L’ultima stagione di sviluppo del Paese, quando nel 99/2000/2001 cresceva ai ritmi oggi impensabili di circa il 3% l’anno, è venuta quando l’Italia guardava all’Europa, al sociale ed esaltava il ruolo dei territori e degli Enti Locali. In quegli anni cresceva anche il Sud ed anche a ritmi più alti del resto del Paese. Dopo il fallimento di ogni forma di Federalismo e dopo un decennio di marginalizzazione dei Comuni e delle Province, il Paese ed il Sud hanno anche drammaticamente bisogno di meglio definire il nuovo impalcato istituzionale ed aprire una nuova stagione di politiche a favore degli Enti Locali. Lo sviluppo locale da solo non basta ma resta la “condicio sine qua non” per costruire uno sviluppo vero.
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