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Il documento con la nomenclatura 'ndranghetistica che doveva rimanere segreto

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CUTRO – È una contraddizione in termini. Il fatto stesso che venga rinvenuto un codice di mafia con le regole di affiliazione alla ‘ndrangheta, i rituali e financo le date in cui tenere le cerimonie, nonché i nomi e le cariche dei pezzi da novanta delle ‘ndrine di Calabria da indicare in “copiata”, costituisce una violazione di quelle stesse regole.

È vietato metterle per iscritto dal momento che devono rimanere segrete, così come deve rimanere segreto l’organigramma dei clan, per evitare che ne vengano in possesso le forze dell’ordine.

Gli “sbirri”, i “cornuti” e gli “infami”, per evocare il gergo riportato nel codice fatto ritrovare dal pentito Natale Stefanutti, figlio di Dorino Rocco Stefanutti, esponente di vertice dell’omonimo clan lucano alleato alla potente cosca Grande Aracri di Cutro. Ma quelle regole vengono a cadere già col rinvenimento dei primi codici.

Il primo fu ritrovato a Nicastro, nel 1888, il secondo a Seminara, nel 1896, il terzo fu sequestrato a Catanzaro, nel 1902. Da allora, nel corso di varie inchieste antimafia, è stato un continuo ritrovamento di codici contenenti le formule da memorizzare e le norme comportamentali per gli affiliati. Ne sono stati scovati perfino nel Nord Italia, in Piemonte, per esempio, e all’estero, in Australia.

Ma a che serviva quel codice con tanto di “cavalieri di Spagna” e altre figure leggendarie che hanno a che fare con le origini della ‘ndrangheta? Stando a quanto rivela un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Liperoti, ex cassiere del clan cutrese, sentito nell’inchiesta che nei giorni scorsi ha portato all’operazione Lucania Felix, serviva a fidelizzare i “locali” costituiti in Basilicata, affiliati ai Grande Aracri.

«Sono un gruppo autonomo ma fino a un certo punto, eventuali a zioni di fuoco devono essere autorizzati dai vertici Nicola e Ernesto», ovvero Nicolino Grande Aracri – boss a capo di un’organizzazione criminale che, come emerso da plurime vicende processuali, comandava su mezza Calabria, parte dell’Emilia, della Lombardia, del Veneto e, a quanto pare, anche in Basilicata – e suo fratello Ernesto.

Proprio a Ernesto Grande Aracri era molto vicino Donato Lorusso, esponente del clan potentino – condannato in via definitiva per una tentata estorsione all’ex presidente del Crotone calcio Raffaele Vrenna – nella cui abitazione è stato rinvenuto il codice, fotografato da Natale Stefanutti col suo telefono cellulare la sera del 12 novembre 2014 e consegnato agli inquirenti lucani cinque giorni dopo.

Con la “favella”, il linguaggio ‘ndranghetistico, agli agenti della Squadra Mobile della Questura di Potenza si è aperto un mondo fatto di riti esoterici e di cariche mafiose. Perché in quel documento ci sono i nomi dei big delle cosche da tenere in “copiata”, tant’è che non è azzardato ipotizzare che sorgano frizioni negli ambienti criminali per il disvelamento della gerarchia.

Ed eccola, la nomenclatura ‘ndranghetistica, con l’elencazione di una serie di personaggi di spicco della criminalità organizzata del Crotonese e non solo, almeno fino al 2014. Almeno stando al manoscritto di 14 pagine, il primo mai ritrovato in Basilicata.

Come caposocietà viene indicato “Er. G.”: e se fosse proprio Ernesto Grande Aracri, coindagato di Lorusso per la tentata estorsione a Vrenna e il cui genero, Salvatore Romano, è stato arrestato quale mandante?

Contabile “France. Ciampa professore”. Mastro di giornata Salvatore Nicoscia. Capo giovane Catado Marincola. Puntaiolo Angelo Greco “Linogreco”.

Scorrono cognomi pesanti, i Ciampà di Crotone, i Marincola di Cirò Marina, e quello di Greco, storico killer di San Mauro Marchesato facente parte del gruppo di fuoco dei Grande Aracri.

E ancora Capo “Er. G.”. Favorevole Pasquale Ciampà. Sfavorevole Vincenzo Comberiati, il boss di Petilia Policastro. Poi sembra che i vari personaggi menzionati interpretino le figure richiamate durante il rituale. Capo “Minofio” viene indicato Nico Gr. A. Sembra evidente il riferimento al boss Nicolino Grande Aracri, e proprio il suo nome, insieme a quello del fratello Ernesto, è l’unico non riportato per esteso.

Contabile “Mismizio” Silvio Farao, di Cirò Marina, e poi il vero capo dell’omonimo clan che è il fratello Giuseppe Farao, additato come “Melchiorre”. Mastro di giornata “Misgarro” Luigi Mancuso: e se fosse il boss di Limbadi al centro del maxi processo Rinascita?

E ancora “Principe di Russia” sarebbe Pino Sestito di Cirò e “Fiorentino di Spagna” Alfonso Mannolo, vertice indiscusso del clan di San Leonardo di Cutro.

Tanta carne al fuoco per gli accertamenti che sarebbero già in corso. Del resto, già i pm Antimafia di Potenza Gerardo Salvia e Anna Gloria Piccininni hanno sentito alcuni pentiti per riscontrare quanto riportato nel codice. Se ne parlerà, negli ambienti mafiosi, perché il rinvenimento è di quelli eclatanti.

Il precedente più recente è relativo alla copiata smarrita da un componente del gruppo criminale crotonese facente capo ai fratelli Laforgia, una circostanza che stava per scatenare una guerra di mafia, stando a intercettazioni captate dalla Dda di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta che nel febbraio scorso portò all’operazione “Orso”.

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