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Attilio Fontana e Letizia Moratti

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Come riformare il Servizio sanitario regionale (Ssr) con soldi pubblici e fondi del Pnrr e lasciare tutto in mano ai privati. Come prima e più di prima. Come se lo stress-test del Covid-19 non avesse mostrato tutti i limiti di un sistema collassato alla prima ondata, con un numero di morti in rapporto alla popolazione superiore a tutte le altre regioni italiane. Con gli anziani contagiati nelle Rsa dai pazienti positivi trasferiti dagli ospedali. Con il flop delle prenotazioni dell’azienda regionale Aria che ha allungava a dismisura i tempi per le vaccinazioni causando incredibili disagi ai cittadini.

Chi pensava insomma che la tragedia dentro la tragedia della gestione lombarda della Pandemia fosse sufficiente da sola a indicare l’inversione di rotta, la fine del processo di privatizzazione, si sbagliava di grosso. Si continuerà nella stessa direzione. E’ tutto scritto nero su bianco nella legge 187 approvata dal Consiglio regionale lombardo lo scorso 30 novembre.

IL PAZIENTE DIVENTA UN CLIENTE DA CONQUISTARE

L’ingresso degli erogatori privati nel sistema sanitario della Regione Lombardia risale alla metà degli anni ’90. Basta girare per Milano, leggere la pubblicità delle università di medicina private sulle fiancate dei tram e i manifesti per strada per rendersi conto che università e ospedali si fanno la pubblicità, che qui valgono regole diverse dagli altri.

Lo ha spiegato molto bene Maria Elisa Sartor, docente di Organizzazione aziendale alla Statale di Milano, che ha ripercorso in un suo libro – “La privatizzazione della sanità lombarda dal 1995 al Covid-19, un’analisi critica” – le varie tappe. La graduale perdita d’importanza del piano sanitario regionale; l’accentramento di poteri in capo alla Giunta regionale; lo svuotamento del ruolo dei Comuni; il dimezzamento della ricettività degli ospedali pubblici. E come immediata e logica conseguenza, le procedure di autorizzazione e accreditamento degli erogatori privati.

Ed è così – scrive la Sartor – “che il cittadino utente è diventato un cliente da conquistare”. La filosofia della Riforma è sempre la stessa: “il principio della libera e consapevole scelta dei cittadini nell’accesso alla strutture sanitarie pubbliche e private”. Un enunciato che si traduce nell’equivalenza tra il pubblico e il privato accreditato. Peccato però che e metterci i soldi sia sempre lo Stato (e in questo caso pure l’Unione europea, anche se le strutture realizzate con i fondi del Pnrr in via teorica non potranno essere gestite dai privati) e a sfruttarne i vantaggi siano sempre gli stessi, i grandi player della sanità lombarda. Ma veniamo alla “Moratti/Fontana”.

Il problema era colmare il “ritardo territoriale” delle regione più ricca d’Italia. Strano a dirsi ma proprio cosi. Lì, nella regione dove i poteva scialare, utilizzare risorse che altrove non sarebbero mai arrivate si è scientificamente accumulato un ritardo; si è distrutto e depotenziato quello che c’era svuotando pezzo a pezzo la medicina territoriale, creando che quello che a detta di tutti gli opinion leaders prima del Covid-19 era il modello, la meta obbligata dei viaggi della speranza. Il bisturi dei privati, la salute a pagamento. Un sistema sanitario pubblico privo di un piano pandemico, organizzato secondo criteri “ospedalo-centrici” per indirizzare i pazienti verso le strutture private. Le “eccellenze” che all’occorrenza ti salvano la vita in 72 comode rate.

CONTROLLORI E CONTROLLATI NOMINATI DALLA GIUNTA

Le opposizioni e i sindaci dei piccoli comuni non hanno toccato palla. “Ancora una volta in questa riforma non c’è nessuna volontà di programmare la spesa sanitaria lasciando tutto alle logiche del mercato – attacca Samuel Astuti, consigliere regionale e capogruppo pd in commissione Sanità – la libertà di scelta presuppone un sistema integrato, il pubblico dovrebbe lasciare al privato quello che non è in grado di fare ma purtroppo non è così. Basta vedere le interminabili viste d’attesa. Per una cataratta si può aspettare anche un anno. Chiaro che in questo modo chi può permetterselo si rivolge al privato”.

” Il disegno è chiaro – prosegue Astuti – basti dire che i distretti che nelle altre regioni hanno un bacino di utenza al massimo di 60 mila utenti da noi sono previsti per 100 mila”. Ma non è l’unica anomalia.

La riforma prevede un meccanismo per cui l’organismo di controllo è sotto la tutela del direttore generale, il quale però è nominato dalla giunta. Un gioco della parti in cui controllati e controllori fatalmente si sovrappongono, si scompongono, si confondono.

A sentire Lady Moratti e il suo principale sponsor, il presidente della regione Attilio Fontana, con la legge 187 – entrata in aula il 10 novembre e uscita il 30 novembre dopo 116 ore di sedute anche notturne e domenicali – si metterà in moto una vera rivoluzione. Costo: 2 miliardi, 800 milioni arriveranno dai fondi regionale, 1 miliardo e 200 milioni dal Pnrr. Sono previste 203 case di comunità, 60 ospedali di comunità, 100 distretti contro gli attuali 27 con 101 centrali operative territoriali, ovvero punti di accesso alle rete di offerta per orientare il cittadino tra i vari servizi sia con sportelli front office e online.

Sì dà il caso però che strutture pubbliche e privati accreditati nella riforma vengano messi sullo stesso piano. Ai privati viene data, inoltre la possibilità do gestire e le strutture realizzate con i soldi pubblici compresi gli ambulatori sociosanitari utilizzando edifici dei Comuni già esistenti da ristrutturare, ovviamente a spese dei contribuenti. Per ogni distretto ci saranno due case di comunità e una centrale operativa territoriale. Ogni casa di comunità avrà un consultorio e alcune funzioneranno come hub con presenza medica 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e infermieri che si daranno il turno ogni 12 ore.

LA POSTA IN PALIO IL DIRITTO ALLA SALUTE

Sulla carta di tratterà di una imponente rimodulazione della sanità lombarda. Di fatto rischia di tradursi nell’ennesimo assist ai colossi della sanità privata. Non a caso i lombardi già ora spendono più del doppio della media nazionale in strutture private convenzionate.

Lady Moratti – of corse – non la pensa così. L’assessore al Welfare lombardo cita il fondo di 5 milioni per la Telemedicina che darà supporto alle comunità montane e disagiate. I 27 dipartimenti all’interno delle Asst, le aziende socio sanitarie territoriali dedicate alla prevenzione (costo 85 milioni). Il nuovo centro per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive. E lancia una sfida sui tempi: entro il 2022 le prime 80 case di comunità e i primi 24 ospedali di comunità; entro 90 giorni dall’approvazione delle legge i distretti e 6 mesi per le centrali operative. In gioco va da sé non c’è soltanto la sanità in Lombardia. Molto di più: la salute come diritto a portata di qualsiasi portafoglio.

Un modello in cui l’Italia a un certo punto della sua storia non è stata seconda a nessuno. Prima che si stilassero le classifiche, il confronto tra le regioni, i ranking nazionali. E si scoprisse – citiamo ancora la professoressa Maria Elisa Sartor – che gran parte dei risultati e degli indicatori venivano elaborati in centri lombardi legati in qualche modo al governo della Regione. Poi è arrivato il batterio del Covid-19 e cosa è successo lo sapete.


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Fabio Grandinetti

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