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IL sacro e il profano, l’uomo e la natura. I riti arborei, le masciare, le fascinazioni. Le abitazioni e le chiese abbandonate, le leggende, i riti. E’ parte del cospicuo patrimonio etno-antropologico lucano. Questo, al pari degli splendidi paesaggi set cinematografici naturali che fungono da attrattori attraverso l’arte, possono essere veicolo di promozione del territorio usando ancora una volta l’arte come canale di comunicazione. E’ quanto dimostra il progetto Re-aCT, Residenza artistica del Centro Cecilia di Tito, uno spazio multidisciplinare gestito dal Consorzio Millepiani, costituito dalle associazioni Multietnica, Generazione Zero e Amnesiac Arts, e uno dei cinque Centri per la creatività nati dal progetto Visioni Urbane della Regione Basilicata. Re-aCT è un programma di residenze del circuito Residenze Artistiche in Basilicata, realizzato dalla Regione Basilicata nei centri di Visioni Urbane.
Il progetto è rivolto a tre giovani artisti under 35, per 40 giorni in Basilicata, ed è finalizzato alla creazione di un’opera d’arte finale, ispirata al territorio e alla tradizione etno-antropologica lucana. L’individuazione degli artisti (Eva Frapiccini, Giulia Manfredi e Ivano Troisi) è avvenuta attraverso un bando di selezione promosso dalla Regione Basilicata e dal GAI (Giovani Artisti Italiani). Membri della commissione sono stati: Lorenzo Benedetti, direttore dell’Art Center De Vleeshal a Middelburg e presidente giuria Premio Celeste 2014; Stefano Rabolli Pansera, direttore di Beyond Entropy e dal 2012 direttore del Museo di Arte Contemporanea di Calasetta e della Galleria Mangiabarche; Massimo Lovisco, fondatore e presidente dell’associazione Amnesiac Arts.
Il Quotidiano della Basilicata è andato a sbirciare nel dietro le quinte della mostra finale con le opere realizzate da questi tre artisti, curata da Amnesiac Arts, che aprirà i battenti il 29 luglio alle 18,30 per chiudersi il 30 di settembre. Quello che il loro estro ha partorito è il frutto di una vera e propria incursione nella cultura lucana tra passeggiate, visite, viaggi, letture di libri e visione di documentari, dialoghi con la gente del posto, ricerche in archivi e biblioteche, sulla scia di quanto testimoniato da Ernesto De Martino.
Ivano Troisi, di Salerno, ama lavorare con la carta «perché – dice – è la mutazione della materia che si concretizza davanti ai miei occhi. E’ quasi un’alterazione alchemica. Parti dagli stracci, dal cotone e arrivi alla creazione della carta». Quello che immagina di fare per la mostra è una sorta di stratificazione della crosta terrestre. Il tema è il rapporto uomo/natura. L’elemento che sceglie di rappresentare è il petrolio.
«Non come denuncia – precisa – d’altronde il petrolio è un elemento naturale». La naturalezza della Basilicata è stata la fonte d’ispirazione – spiega – ciò che nel suo peregrinare ha fatto nascere in lui riflessioni. Con la tecnica del frottage lascerà al Cecilia di Tito tracce di quello che è stata la sua esperienza, come il vento che asciuga i fogli artigianali stesi sul lenzuolo, imprimendo su di essi tutto il “dinamismo” dei nostri luoghi. Le opere di Giulia Manfredi, emiliana, spaziano dalla videoinstallazione alla pittura, dalla scultura all’animazione. I vari linguaggi si compenetrano dialogando tra di essi, attraendo lo spettatore all’interno di atmosfere dinamiche e multiformi. «A me – spiega – non interessa il mezzo ma l’idea». E la sua idea della Basilicata, che visita per l’occasione per la prima volta, è quella di una terra dove la conflittualità tra sacro e profano, tra l’uomo e la natura, viene accettata con naturalezza in una convivenza che è senza contrasto. Giulia lo ha visto nei riti arborei di Satriano di Lucania e di Accettura, così come nella stessa geografia di Matera: «Il fatto che sia esposta in uno strapiombo che quasi separa le grotte dalla parte abitata dà proprio il senso dell’ascensione, del sopra e del sotto, del cielo e della terra». La sua Basilicata sarà pertanto un’ installazione dal vivo, meccanica, per mettere in scena una sorta di miracolo.
Eva Frapiccini, marchigiana ma torinese d’adozione, è anche lei per la prima volta in Basilicata. Artista interdisciplinare, che lavora principalmente in fotografia e video installazioni, ha alla base della sua arte un’idea in particolare: «ogni storia individuale si intreccia con la storia con la s maiuscola». La sua fonte d’ispirazione è stata pertanto Balvano «per via delle tragedie del terremoto dell’80, del disastro ferroviario e dei miracoli». Balvano, come l’artista stessa racconta, è dove nel 1630 una donna muta riacquista la parola grazie al miracolo avvenuto nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, oggi abbandonata. E’ dove una donna, nel 1861, considerata colei che aveva augurato il colera alla città procurandone i morti, viene violentata e uccisa a bastonate e i cui assassini vengono poi a loro volta uccisi dai briganti. E questo nello stesso giorni in cui, secoli dopo, il terremoto del 1980 procura la strage: il 23 novembre. Tutto ciò, secondo Frapiccini, ha radicato negli abitanti un atteggiamento di vita negativo, che porta sempre ad aspettarsi il peggio. Questa suo personalissimo sguardo sulla Basilicata verrà riportato attraverso i numerosi scatti realizzati con la polaroid «che permette – dice – di riprodurre l’aurea di Balvano nella sua autenticità, senza modificarla».
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