Piazza Bilotti a Cosenza
2 minuti per la letturaChe il collaudo di piazza Bilotti sia stato eseguito in parte, fatto alla carlona o saltato a piè pari, è circostanza che pare destinata a restare solo un sospetto. I giudici del tribunale di Cosenza, infatti, hanno appena dichiarato inutilizzabili tutte le intercettazioni telefoniche grazie alle quali tredici persone, tra cui l’ex sindaco Mario Occhiuto, sono finite a giudizio per il reato di falso ideologico. Il problema è che il processo si fonda interamente su quelle captazioni, ragion per cui è verosimile che a questo punto l’accusa sia costretta a gettare la spugna.
L’antefatto è noto: ad aprile del 2020 piazza Bilotti finisce nel mirino della Procura di Catanzaro che indaga sul mancato collaudo dell’opera pubblica che avrebbe dovuto essere eseguito nel 2015 in concomitanza a due grandi eventi – l’inaugurazione della piazza e il concertone di Capodanno griffato da Alvaro Soler – che, secondo gli inquirenti, si sarebbero svolti, invece, in condizioni di sicurezza precarie per le migliaia di cittadini che affollavano l’area in questione.
Un sospetto agghiacciante che l’ufficio di Nicola Gratteri rende noto a quattro anni di distanza dai fatti, facendo leva su intercettazioni telefoniche nelle quali alcuni degli stessi tecnici che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera manifestano perplessità sulla bontà dei lavori, paventando addirittura il pericolo di crolli.
La Procura non ritiene necessario far eseguire una perizia a conferma o smentita di tale ipotesi, ma chiede e ottiene ugualmente il sequestro della piazza che si protrarrà poi per un anno esatto. In seguito, gli indizi raccolti porteranno anche al rinvio a giudizio delle persone ritenute coinvolte, un gruppo in cui oltre a Occhiuto figurano anche tecnici e dirigenti del Municipio, e proprio durante il processo è giunto infine il colpo di scena.
Nelle scorse ore, infatti, i giudici hanno sciolto la riserva sull’eccezione avanzata durante l’ultima udienza dagli avvocati Franco Sammarco, Anna Spada e Paolo Sammarco a nome di tutto il collegio difensivo, dando loro ragione: le intercettazioni non potranno essere utilizzate perché disposte nell’ambito di altri procedimenti penali.
All’epoca, infatti, gli investigatori si imbattono nelle presunte falsità ideologica mentre indagano sulle infiltrazioni del clan Perna nei lavori per la piazza, sulle estorsioni ai danni degli imprenditori e ancora su altri sospetti di mafiosità poi confluiti nell’inchiesta “Frontiera”. Il capitolo relativo al collaudo dell’opera, per essere oggetto di approfondimento, avrebbe dovuto essere stralciato, e un gip avrebbe dovuto autorizzare intercettazioni specifiche sull’argomento.
Ciò però non è avvenuto e la sentenza della Cassazione a cui si sono richiamati Spada e i Sammarco parla chiaro. Ne hanno preso atto anche i giudici del collegio riconoscendo l’assenza di “connessione sostanziale” fra i fatti oggetto d’indagine (i falsi) e quelli per cui, invece, erano state prodotte le richieste intercettive. Vicende “completamente disancorate” è scritto nell’ordinanza a firma del presidente Carmen Ciarcia. E se non è una pietra tombale per l’inchiesta, poco ci manca.
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