3 minuti per la lettura
Uno avrebbe fatto parte del commando entrato in azione ad agosto di due anni fa; l’altro, invece, si è tirato indietro qualche giorno prima, ma potrebbe essere a conoscenza di nomi e dettagli del piano per rapire il cassiere della banda Mokbel.
Ci sono altri due lucani nel mirino degli investigatori dell’Antimafia della capitale nell’ambito delle indagini sui retroscena dell’omicidio di Silvio Fanella, broker 41enne, che custodiva nella sua casa di campagna: 34 sacchetti di diamanti, vari orologi preziosi più 284 mila dollari e 118mila euro in contanti nascosti nelle scatole di gelato. Una fortuna scoperta soltanto dai militari del Ros poche ore dopo la sua morte.
Si tratta di Roman Mecca e di Antonio Silvano: due nomi già comparsi negli atti dell’inchiesta Enrico VI condotta dai carabinieri del reparto operativo di Potenza, al comando del capitano Antonio Milone.
Ora anche i colleghi della capitale sembrano aver deciso di puntare su di loro dopo l’arresto dei rioneresi Aniello “Daniele” Barbetta e Giovanni Plastino, raggiunti da un fermo disposto dai pm della Dda romana a distanza di pochi giorni dall’omicidio di Silvio Fanella.
Assieme a Barbetta e Plastino, che stava già scontando una condanna per estorsione e associazione mafiosa con gli uomini del clan Cassotta, è finita in carcere anche una terza persona: Roberto Macori, 40enne romano, accusato di essere stato l’«ideatore» del piano, e già considerato tra i membri più fidati della banda dell’imprenditore “nero”.
Inoltre nelle ultime settimane sarebbe stato identificato dalla voce anche un altro membro del commando entrato in azione due anni fa assieme a una coppia di «finanzieri», veri o presunti, che a luglio potrebbero essere tornati sui loro passi.
Stando infatti a quanto avrebbe riferito la cugina di Fanella, gli uomini arrivati a casa sua per prelevarlo si sarebbero qualificati come agenti della Fiamme gialle. In più avrebbero lasciato dietro di sé anche dei fogli con l’intestazione della Guardia di finanza, che sarebbero dovuti servire per convincerlo ad andare con loro, assieme a una borsa con delle fascette di plastica da elettricista.
Dalle conversazioni captate dalle microspie piazzate nell’auto di Barbetta era emerso più volte il nome di un tale «Piero» o «Giampiero», che avrebbe avuto il compito di occuparsi del lavoro sporco assieme a Plastino, picchiando Fanella fino a fargli confessare il nascondiglio del tesoro della “banda”.
Parlando con Barbetta, che era infastidito dal suo modo di fare, Plastino l’aveva anche indicato come un ex della «banda della Magliana», e a leggere quanto sta emergendo il suo non era un puro esercizio di fantasia.
«Piero» così diventerebbe «Giampietro Agus», secondo il contenuto di un’informativa ai magistrati pubblicata ieri mattina sulle cronache romane del Corriere della Sera. Un personaggio di peso nella malavita romana, arrestato nel 2001 assieme a un boss del calibro di “don” Carmine Fasciani, che è considerato l’erede dei protagonisti di “Romanzo criminale”.
Agus era stato già sfiorato dall’inchiesta sulla maxi frode da 2 miliardi di euro Telecom Sparkle-Fastweb a causa dei suoi contatti con Gennaro Mokbel, e Macori, finiti in carcere nel 2010 assieme allo stesso Fanella, trucidato il 3 luglio nell’appartamento della cugina, al culmine di un tentativo di sequestro molto simile a quello organizzato nel 2012. Quasi una riedizione.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA