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POTENZA – Sarà una perizia a stabilire se sia stata la stessa arma a sparare nel piazzale della Sg Trading di San Nicola di Melfi e sul capannone dell’azienda agricola Di Stasi di Lavello. Ma il sospetto di un’unica matrice ha già preso piede tra gli investigatori, e il caso è finito dritto negli uffici dell’Antimafia.
E’ la pista del racket quella su cui si stanno concentrando i carabinieri dei nuclei operativi delle compagnie di Venosa e Melfi e del reparto operativo di Potenza, dopo gli ultimi attentati a danni di imprese registrati nell’area nord della Regione.
Il primo risale ad aprile e ha preso di mira la Di Stasi, una bella realtà che si trova in contrada Meggesaria, proprio al confine con la Puglia. Poi a maggio è stato il turno della Sg Trading, che commercializza componentistica elettronica, in particolare cellulari, dall’area industriale della cittadina federiciana.
Quindi è toccato di nuovo alla Di Stasi, a metà giugno, e qualche giorno più tardi ancora alla Sg Trading.
Tutti e quattro gli episodi sono avvenuti in pieno giorno, quando il rischio di colpire qualcuno è più alto.
Tra le analogie allo studio degli inquirenti, oltre alla tempistica stringente, c’è la descrizione dei responsabili fornita da alcuni testimoni, che tra aprile e maggio hanno riconosciuto due uomini in motocicletta con i caschi integrali calati sulla testa. Mentre a giugno il ritrovamento di una berlina in fiamme poco lontano dall’azienda agricola dei Di Stasi lascia pensare che abbiano deciso di cambiare mezzo forse per non destare troppi sospetti.
A far propendere per la tesi di un avvertimento legato a un possibile tentativo di estorsione da parte di personaggi vicini al crimine organizzato c’è soprattutto il tipo di arma utilizzata.
Stando a un vaglio preliminare degli elementi in mano ai carabinieri, si tratterebbe infatti di una mitraglietta a canna corta. Anche perché il numero di colpi esplosi è stato notevole. Ma per averne la certezza bisognerà attendere l’esito della perizia balistica disposta dal pm Francesco Basentini che chiarirà anche se sia stata sempre la stessa a fare fuoco.
Molto più difficile sarà stabilire se si tratti di delinquenza del posto o d’importazione, visto che i due stabilimenti distano una ventina di minuti d’auto l’uno dall’altro, ma si trovano entrambi praticamente a ridosso del confine.
Di certo c’è che manca la memoria di episodi del genere. Per questo è difficile escludere che ci trovi di fronte a un cambiamento radicale negli equilibri della mala nell’area nord della Regione, dopo vent’anni di una faida sanguinaria per cui proprio negli ultimi mesi sono arrivate le prime sentenze importanti. Ad esempio quella che ha riconosciuto per la prima volta l’esistenza della ‘ndrina melfitana dei Cassotta, condannando il boss, Massimo Cassotta, a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa ed estorsione, assieme ad altri affiliati come Giovanni Plastino e Alessandro Cassotta.
Tra le vittime del clan sarebbero stati diversi gli imprenditori di San Nicola di Melfi, tra i quali anche il patron della locale squadra di calcio. Eppure stando a quanto raccolto negli atti delle ultime inchieste le richieste di denaro non sarebbero mai state accompagnate da gesti eclatanti, attentati o episodi di intimidazione che potessero finire per destare l’attenzione degli inquirenti.
Un primo segnale di tensione nell’area era arrivato ad aprile, pochi giorni dopo gli spari alla Di Stasi, con la gambizzazione di Sergio Cassotta, fratello maggiore di Massimo e indagato a sua volta per estorsione, da parte di Massimo Grimolizzi, un 34enne considerato vicino ai presunti killer di suo fratello Bruno Cassotta, assolti in primo grado e tuttora in attesa del processo d’appello.
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