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REGGIO CALABRIA – Le armi venivano acquistate a pezzi e poi assemblate in un’officina meccanica di Gioia Tauro. Il retroscena è stato svelato dal comandante dei Ros, generale di Brigata Mario Parente. L’alto ufficiale ha spiegato all’Adnkronos le attività investigative che hanno portato all’arresto di 54 persone ritenute collegate al clan Molé di Reggio Calabria.
«Le indagini si sono sviluppate nel corso di due anni: abbiamo stretto il cerchio intorno ai malavitosi – ha affermato – mettendo in luce le attività illecite della cosca Molè di Gioia Tauro, una delle più pericolose e potenti della ‘ndrangheta reggina».
«Abbiamo ricostruito gli ingenti interessi illeciti del sodalizio – spiega il generale Parente – e le sue consolidate proiezioni fuori dalla Calabria, documentando anche i processi riorganizzativi interni, a seguito della cruenta contrapposizione con la famiglia storicamente alleata dei Piromalli, culminata nel 2008 nell’omicidio del reggente Rocco Molè». Il numero uno del Raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei Carabinieri, ha rivelato anche il particolare sulle armi: «Il solidalizio criminale si riforniva di armi inertizzate, o parti di armi, in territorio sloveno, per poi modificarle e assemblarle all’interno di un’officina meccanica di Gioia Tauro, sotto il diretto controllo dei Molè».
Il colonnello Daniele Galimberti del Servizio centrale del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei Carabinieri ha aggiunto che «le armi di cui il soldalizio della cosca Molè si riforniva in Slovacchia venivano trasportate in Italia all’interno di furgoni con doppifondi predisposti».
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