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Il luogo della tragedia

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CIRO’ MARINA (CROTONE) – «Il fatto non sussiste». E’ stata assolta Rita Franzè, originariamente indicata come teste oculare e poi finita sotto accusa per omicidio colposo per la morte dello studente liceale Giuseppe Strancia, avvenuta il 25 giugno 2015 in un incidente stradale.

Il giudice del Tribunale di Crotone Federica Girardi ha accolto la richiesta di assoluzione piena avanzata dal pm Antonio Malena, che si è attenuto alla ricostruzione originaria dei carabinieri e di due periti che evidenziano che il sinistro fu autonomo e ha sostenuto che agli atti del processo – un processo indiziario – non c’è alcun riscontro della presenza dell’auto Toyota “Yaris” della donna sul luogo dell’impatto. Il pm ha anche sostenuto che lo specchietto sinistro della moto condotta dal giovane non era lesionato.

Alla richiesta di assoluzione si è associato l’avvocato dell’assicurazione Groupama per la responsabilità civile.

I dubbi nascevano soprattutto dalla frase «Sposta ‘a machina». Un’intercettazione che era stata omessa dalle trascrizioni dei carabinieri della Compagnia di Cirò Marina relative a una chiamata al 118 e che ha gettato nuova luce sulla vicenda dopo ben due richieste di archiviazione. La scoperta la fece il padre del ragazzo, Gianfranco Strancia, parte civile insieme alla moglie Teresa Calabrò. Decisiva, per il cambio di orientamento della Procura crotonese, che alla fine chiese il rinvio a giudizio dopo un’imputazione coatta del gip Michele Ciociola, fu proprio la perizia su alcune conversazioni intercettate, alcune delle quali, come eccepito dall’avvocato della famiglia Strancia, Giuseppe Tortora, non erano state riportate dai carabinieri.

Eppure da quelle conversazioni si desume che un’auto potrebbe essere stata spostata al fine di evitare eventuali responsabilità. Inoltre, non sarebbe stata trascritta la frase «lo stai chiamando il 118 che ho fatto un incidente», che sarebbe stata pronunciata dalla conducente dell’auto mentre un’altra persona dava l’allarme. Secondo la tesi della parte civile, tra la moto “R125” Yamaha, guidata da Giuseppe, e l’auto con a bordo la Franzé che proveniva in senso opposto ci sarebbe stato un contatto. Il ragazzo stava rincasando, in sella alla sua moto, e indossava il casco quando perse il controllo del mezzo e finì a terra. I coniugi Strancia, come dei provetti detective, hanno scoperto che l’attacco alla carena dello specchietto della moto (lato sinistro) era rotto, osservando le foto scattate dagli stessi carabinieri e ingrandendole. Due militari sono finiti sotto accusa – ma il procedimento  è stato archiviato – peraltro proprio per aver annotato che lo specchietto era integro, mentre è sotto processo un medico del 118.

L’avvocato Tortora  ieri ha attaccato con particolare vigore la perizia su cui si fonda la ricostruzione del pm evidenziando che lo stesso consulente, smentendo sé stesso, in aula disse «quando ha urtato l’auto», mentre relazionava sulla perdita di stabilità del motociclo. «Il perito non è in grado di dire perché il ragazzo cade», ha sostenuto il legale ricordando che è un dato acclarato la lesione allo specchietto. L’avvocato Tortora, che ha ricordato la battaglia contro un «muro» originariamente opposto dalla Procura di Crotone «appiattitasi», a suo dire, sulla primissima ricostruzione, ha richiamato alcune testimonianze secondo cui un’auto sarebbe stata spostata dopo l’incidente, ha contestato la lacunosità delle indagini e ha evidenziato che dall’esame delle videocamere si nota l’auto dell’imputata sopraggiungere sul luogo della tragedia poco prima dell’impatto, avvenuto poco distante casa sua.

La donna, difesa dagli avvocati Marcello Bombardiere e Mario Bombardiere, è la moglie del medico Giuseppe Bombardiere, ed è lui che ha chiamato dopo aver notato il giovane sbandare e cadere. Questo è il punto cardine della difesa: la donna chiama un medico perché i soccorsi siano rapidi quando ancora non sa cosa è successo realmente (lo sfortunato giovane giungerà senza vita all’ospedale di Crotone dopo il viaggio in ambulanza). «Non sapremo mai se il ragazzo sia morto per un errore o una fatalità, quello che è certo  è che non è riscontrata la tesi alternativa dell’urto», ha detto, in particolare, l’avvocato Marcello Bombardiere, contestando l’ipotesi di un complotto volto a garantire l’impunità della donna.

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