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MA QUALE “infiltrazione mafiosa” nel tessuto economico del Nord: è un’espressione che sa di “catartico e assolutorio” nei confronti di una società civile, quella del Nord, sempre più collusa con le mafie. Il filone lombardo dell’indagine che l’altra notte ha portato a 104 arresti contro la potente cosca Molè di Gioia Tauro e le sue ramificazioni al Nord presenta una ‘ndrangheta che «non solo entra in rapporto con figure di imprenditori e professionisti con la classica modalità estorsiva ma ne diviene socia d’affari acquisendone il know how di evasore fiscale».
GLI INTRECCI
Da un lato abbiamo gli imprenditori in condizione di assoggettamento e omertà. Dall’altro una figura come Cesare Pravisano, ex funzionario di banca ed ex assessore del Comune di Lomazzo, nel Comasco, che «rappresenta il classico esempio di imprenditore il quale entra in contatto con la ‘ndrangheta quale vittima di estorsione e decide di mettersi in affari diventandone lo strumento di penetrazione economica nel tessuto lombardo», è detto nelle carte dell’inchiesta firmata dal procuratore aggiunto di Milano Alessandra Dolci e dai sostituti Sara Ombra e Pasquale Addesso.
«La sua idea era di entrare in affari con i calabresi in modo da mitigare le loro richieste di denaro. Il viaggio a Gioia Tauro serviva per parlare con le famiglie calabresi», dice, interrogato nel dicembre 2019, Marino Carugati, ex sindaco di Lomazzo e anche lui indagato nel filone lombardo. Parlava del suo amico ed ex assessore indagato Pravisano. «Questa soluzione – ha messo a verbale Carugati – era stata concordata da Pravisano con Ficarra Massimiliano (commercialista e presunta “mente economica” del “locale” di Fino Mornasco, in provincia di Como, ndr) che, fino a quel momento, era l’unico calabrese che avevo conosciuto in quanto mi era stato presentato da Cesare (…) L’incontro di Gioia Tauro fu organizzato da Cesare e Ficarra il quale si attivò e ci introdusse con le famiglie calabresi a cui io e Cesare pagavamo l’estorsione per trovare una soluzione. In sintesi, avremmo iniziato a collaborare in attività economiche con loro – ha aggiunto – garantendogli dei guadagni che avrebbero sostituito i nostri pagamenti estorsivi».
L’attività economica, si legge ancora nel verbale, «era la gestione di cooperative di servizi, pulizia e facchinaggio che avrebbero ottenuto lavori e commesse tramite i contatti miei e di Cesare che eravamo soggetti presentabili».
Agli atti anche un’intercettazione nella quale Carugati diceva: «Hanno trasferito, non dico il cento per cento, ma grandissima parte delle loro attività in modo legale al Nord dove loro non compaiono più. Hanno i contatti, hanno le cose. Le società sono nel Nord, punto… O sono sparse nell’Europa. O sono sparse nel mondo. Perché dipende poi dalla quantità dei contanti che riescono a mettere insieme».
I CAMALEONTI
Elementi che segnano il passaggio dei due imprenditori lombardi, che hanno rivestito anche cariche pubbliche di assessore e sindaco nel Comune di Lomazzo, da vittime della ‘ndrangheta a partecipi dell’associazione attraverso la messa a disposizione dell’associazione mafiosa delle loro imprese e della loro “credibilità”. È questo «il capitale sociale e imprenditoriale che offrono all’associazione mafiosa».
Pravisano, che secondo i pm partecipa con il ruolo di organizzatore ed esecutore del sistema di frode e bancarotta attraverso il quale veniva finanziata l’associazione, amministratore di fatto delle società utilizzate per condotte di bancarotta e frode fiscale per le quali è stato condannato dal Tribunale di Como, nel 2020, alla pena di 11 anni e 4 mesi, avrebbe partecipato all’incontro del 3 febbraio 2010 a Gioia Tauro.
LA SVOLTA
È l’incontro nel corso del quale si sarebbe messo a disposizione dell’organizzazione fornendo un «costante contributo alla penetrazione dell’associazione mafiosa nel tessuto economico lombardo quale soggetto “pulito” da utilizzare per l’acquisizione di nuove commesse e offrendo le sue imprese operanti nei settori dei servizi di pulizia e facchinaggio».
Dopo i contrasti con Massimiliano Ficarra, si rivolge, secondo gli inquirenti, ad Alessandro Tagliente e, tramite questi, a Bartolomeo Iaconis per avere la loro “protezione” offrendo, in cambio, la condivisione dei proventi illeciti da frode fiscale, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti nei confronti di “The Bulldog snc”, “New Bulldog snc” e “d.i. Futura 2000”, la conclusione di contratti di affitto d’azienda simulati tra Appianese s.c. e Acero s.c. con i quali venivano spostati i costi delle attività sulle cooperative insolventi e mantenuti i ricavi sulle attività economiche gestite da Tagliente e Iaconis, la fittizia assunzione di Iaconis da parte delle cooperative; l’elargizione di somme di denaro distratte da Como Service s.c., Sistemi s.c. e Consorzio Assicoop.
PRAVISANO A DISPOSIZIONE
Insomma, Pravisano si sarebbe messo a «completa disposizione degli interessi del sodalizio». E’ stato lui stesso, il 16 gennaio 2020, nel corso di un interrogatorio, a ricostruire gli accordi di Gioia Tauro che «hanno costituito il definitivo subentro nell’associazione mafiosa» osservano i pm. «Avevano necessità di soggetti “puliti” che potessero essere credibili per avere lavoro in Lombardia e, da questo punto di vista, io e Carugati eravamo perfetti in quanto avevamo contatti sul territorio ed entrambi avevamo rivestito cariche pubbliche; io avevo anche l’esperienza di funzionario di banca per ottenere fidi e la fiducia delle banche. Noi avevamo necessità di porre termine alle richieste estorsive perché non eravamo più in grado di far fronte alle stesse.
In seguito all’incontro di Gioia Tauro, in realtà, ciò che è accaduto, è che le estorsioni sono state “travestite” da operazioni di distrazione in danno delle società che gestivamo io e Ficarra». Anche Carugati è stato condannato, sempre a Como, a 2 anni e 6 mesi per bancarotta fraudolenta e frode fiscale.
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