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POTENZA – Un arresto: quello di Gerardo Palladino, che è un imprenditore 50enne di Pietragalla. Più 26 perquisizioni ad altrettante aziende della provincia di Potenza che hanno dichiarato contratti di lavoro inesistenti per cittadini pakistani, disposti a pagare fino a 15mila euro per un visto dell’ufficio immigrazione.

E’ il bilancio lucano dell’operazione messa a segno ieri mattina dalla Squadra mobile di Piacenza in collaborazione con i colleghi di Potenza.

Assieme a Palladino sono finiti in carcere anche Navid Mohammad Asgar e Nazir Majid, entrambi pakistani da tempo trapiantati a Piacenza.

Secondo gli inquirenti avrebbero fatto parte di un’organizzazione specializzata nel reperire i documenti necessari a chi da Islamabad e dintorni intendeva trasferirsi in Italia. Anche se in gran parte dei casi si sarebbe trattato solo di una meta di passaggio per l’Europa continentale, in particolare la Francia.

In totale gli indagati sono 52 tra cui un funzionario della Farnesina e 27 imprenditori, 26 dei quali potentini  operanti nel settore agricolo tra Melfi, Venosa, Atella, Filiano, Palazzo San Gervasio, Maschito, Banzi, Genzano, Pietragalla, Ruoti e Pignola.

«L’organizzazione criminale – spiega una nota diffusa ieri mattina dalla Questura di Potenza – riceveva, in genere via email o via fax, dal Pakistan, nonché dall’India, i nominativi delle persone interessate a giungere in Italia e li trasmetteva, con il medesimo tramite, agli imprenditori, oppure ai procacciatori di questi ultimi».

«Una volta ottenuto il permesso di lavoro veniva inviato in Pakistan – prosegue la nota – perché con esso il lavoratore apparente poteva richiedere il visto presso l’Ambasciata italiana in quel Paese, che, se non riscontrava irregolarità, lo avrebbe rilasciato entro 30 giorni».

Stando agli investigatori potentini «in presenza di una serie di controlli amministrativi attivati dalla Prefettura e dalla Questura di Potenza, diversi datori di lavoro potentini avevano manifestato sin da subito grande tensione e preoccupazione».

Quanto invece alla posizione di Palladino parlano di un «ruolo strategico» da «elemento di spicco all’interno dell’organizzazione», col compito di reperire datori di lavoro compiacenti, disposti, dietro pagamento di un’ingente somma di denaro a stipulare contratti di lavoro fittizi al fine di richiedere nulla osta al lavoro subordinato per cittadini pakistani».

Lo stesso Palladino, incensurato con interessi nel settore del tessile, avrebbe curato anche la ripartizione degli utili con i componenti pakistani dell’organizzazione «e poi la distribuzione degli stessi a quanti hanno collaborato alle illecite operazioni». 

Mentre i suoi “soci” si sarebbero occupati di individuare i connazionali da introdurre in Italia e di gestirne l’arrivo, all’aeroporto Malpensa, quindi il trasferimento nei Paesi europei, tra cui Francia e Spagna, che erano le principali destinazioni finali degli immigrati.

Dei 52 indagati, tra italiani e pakistani, 17 sono quelli accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre gli altri sono ritenuti di fatto fiancheggiatori dell’organizzazione. Per questo all’inizio erano 17 le misure di custodia cautelare in carcere chieste dal Pm di Bologna, ma il gip ne ha concesse solo 5, e 2 dei destinatari si trovano attualmente in Pakistan.

Secondo gli investigatori della Polizia, per ogni finta assunzione (soprattutto contratti stagionali nel comparto agricolo) agli imprenditori compiacenti veniva versata una somma di circa 5 mila euro. Agli immigrati che aderivano al giro illecito per arrivare in Italia, invece, venivano chieste somme fino a 18 mila euro.

I tutto pakistani fatti entrare a pagamento in Italia dal 2009 ad oggi sarebbero stati 445 per un giro d’affari illecito da 5,8 milioni di euro.

L’indagine, durata circa 3 anni è stata avviata grazie ad un imput investigativo proveniente dalla Francia e ha portato anche a decine di perquisizioni.

Tra il materiale sequestrato ci sono visti, passaporti falsi, ma anche un veicolo, un ristorante situato a Piacenza ed un Kalashnikov trovato a Rieti in possesso di uno degli italiani indagati.

Enorme la mole di intercettazioni telefoniche e di accertamenti sui bonifici e pagamenti che transitavano dal Pakistan all’Italia, alimentando quello che era un vero e proprio traffico di esseri umani.

Presentando i dettagli dell’operazione in conferenza stampa sotto le Due Torri, il Procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso ha parlato di un «fenomeno inquietante e significativo che va seguito con grande attenzione».

L’inchiesta che ha avuto il suo cuore a Piacenza, ha permesso di scoprire anche un filone paralello che avrebbe invece come centro logistico Verona e che sta procedendo dunque nella città veneta.

l.amato@luedi.it

 

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