Il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi
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Preoccupati per la tempistica, per i meccanismi che regoleranno i bandi, per la carenza di personale specializzato, per l’inevitabile allungamento dei tempi in contrasto con le 527 prescrizioni e per le scadenze stringenti imposte dal Pnrr. Gli amministratori locali ce l’hanno con i ministeri che vanno ognuno per conto proprio.
I funzionari replicano mostrando vecchi progetti spacciati per nuovi, presentati in ordine sparso e in totale autonomia, senza interfacciarsi con la cabina di regia del governo centrale. I rappresentanti della Provincie se la prendono con i sindaci che dovrebbero coordinarsi con un territorio più ampio ma continuano ad escluderli. Uno scenario che prefigura il futuro scaricabarile. I sindaci delle piccole città che attaccano i colleghi delle metropoli che pur avendo a disposizione i fondi per la rigenerazione urbane non mettono in rete i progetti. E il Parlamento che avrebbe tutto il diritto di dire la sua e si sente esautorato, tagliato fuori dalle scelte strategiche che cambieranno volto al Paese.
Basterebbe riavvolgere il nastro dell’audizione che si tenuta ieri mattina in Commissione bilancio nell’ambito dell’esame del Dl 152/21, quello “recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per resuscitare lo spettro incombente del flop. Architetti, pianificatori, paesaggisti, conservatori, professori universitari, rappresentanti di Anci, Upi, Conferenza delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, sindacati e ed esponenti di Fipe, Federalberghi, Confindustria, Federturismo. Una sfilata di esperti chiamati a riferire per fare il punto della situazione.
LA SCOMMESSA DEI COMUNI: 12 MILIARDI L’ANNO DA INVESTIRE
Cominciamo dal numero risicato di soldati che l’esercito dei Comuni può mettere in campo. Un numero di dipendenti che con il passare degli anni si è fatto sempre più raro e sparuto. Il ruolo dei Comuni sarà determinante per l’attuazione del Piano: i dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) dicono che tra il 2023 e il 2025 dovranno investire ogni anno 12 miliardi in più rispetto ai livelli dell’ultimo triennio. In totale 70 miliardi di euro, Il personale però è drammaticamente diminuito nel decennio 2010-2019 di circa 100 mila unità. : – 35% Campania e Basilicata; -30% Abruzzo e Calabria, mentre in Trentino l’organico è aumentato.
Il personale è più anziano, più dei due terzi hanno 50 anni e i livelli di istruzione, specie al Sud, non sono esaltanti: solo uno su 5 è laureato. Se a questo si aggiungono i livelli di indebitamento delle città si capirà perché il gramsciano ottimismo della volontà questa volta faticherebbe a farsi strada. Un dato su tutti: il Comune di Napoli passato da 14 mila a 5 mila dipendenti acquisirà a breve 4 collaboratori esterni. Dati da ieri agli atti delle Commissione bilancio.
GLI INTERVENTI PER IL SUD NON PREALLOCATI
La finalità prioritaria del Piano è ridurre le diseguaglianze tra territori. Tra le 527 prescrizioni indicate da Bruxelles la più importante è l’indicazione che il 40% degli investimenti – 82 miliardi al lordo dei progetti già esistenti – dovranno calarsi nelle aree più svantaggiate, dunque al Sud. Ma applicare questa regola non sarà semplice giacché per la stragrande maggioranza degli interventi non ci sono indicazioni di pre-allocazione. Molto dipenderà dagli esiti dei bandi. E qui si tocca un altro punto delicatissimo.
Il bando investimenti nelle resilienza dell’agro sistema irriguo- si legge nella documentazione depositata in Commissione – ha destinato al Mezzogiorno circa il 30% delle risorse disponibili, pari a 1,6 miliardi. Il Dipartimento per le politiche di coesione attraverso i dati rilevati dal sistema di monitoraggio dovrebbe quindi verificare il rispetto dell’obiettivo del 40% e se necessario sottoporre gli eventuali casi di scostamento alla Cabina di regia per eventuali correttivi”. Un meccanismo alquanto complesso. Un altro esempio è quello del bando per gli asili nido per allocare al Sud il 54% delle risorse. L’obiettivo era favorire quei territori in cui si registrano i maggiori ritardi. Peccato che i risultati – come evidenzia l’Ufficio di bilancio parlamentare – siano opposti rispetto alle aspettative. Un terzo dei comuni ha una copertura pari a zero, tuttavia la quota di assegnatari scende mediamente a circa il 27%”.
Quanto di ogni singolo intervento ricade sul Mezzogiorno? Chi fa cosa e dove? E come misurarlo? Solo per 22 miliardi c’è una indicazione precisa. Per gli altri dipenderà dipenderà da una serie di varianti. “Molto dipenderà dall’esito dei bandi”, ha spiegato il professor Gianfranco Viesti che ha depositato una sua documentazione. Altro punto critico sono I tempi di attuazione. La fretta potrebbe però produrre scelte sbagliate. Dare la precedenza ai progetti ad alto grado di cantierabilità, realizzabili entro il 2026, e mettere da parte quelli più complessi anche se più necessari per la difficoltà di chiudere il ciclo, progettazione, bandi, attribuzione, realizzazione, collaudi, etc, etc.
Su un punto però da Nord a Sud c’è un idem sentire. E si può riassumere nel noto proverbio “paga moneta vedere cammello.” Auspichiamo, dal punto di vista dei tempi, che nel primo semestre del 2022 vi sia una completa assegnazione delle risorse ai Comuni per giungere, entro la fine del 2023, all’apertura dei cantieri in modo da completare le opere nei tempi previsti per la rendicontazione”, ha fissato l’agenda il il sindaco di Novara e presidente di Ifel, Alessandro Canelli.
SEMPLIFICAZIONI ANCHE PER I FONDI STRUTTURALI
Gaetano Armao, assessore all’Economia della Regione siciliana, è stato chiaro. “Non chiediamo pezzettini di Pnrr ma che le regioni vengano coinvolte “nel coordinamento delle iniziative proprio per spendere meglio queste risorse”. E ancora: “Il Pnrr è “adesso una maxi finanziaria della prima Repubblica come logica e impostazione, una sommatoria di piani ministeriali senza una visione di paese”. Fulvio Bonavitacola, vicepresidente della Regione Campania e coordinatore della commissione Infrastrutture e trasporti della Conferenza delle Regioni, ha sollevato un tema molto concreto. “Se le norme di semplificazione servono – ha osservato – perché limitarsi soltanto al Pnrr? I fondi strutturali servono a fare ‘opere di serie B’?”.
“Rischiamo di non vincere questa sfida – ha messo le mani avanti il rappresentante Upi Luca Menesini, presidente della Provincia di Lucca – continuiamo a non avere risposte risolutive sul potenziamento delle strutture organizzative delle Province, una questione strategica che più volte l’Upi ha sollevato e non sono ancora chiare le procedure rispetto all’assunzione di personale seppure a tempo parziale, né rispetto ai nuovi bandi né in relazione a quelli già fatti, in particolare quelli relativi alle messa in sicurezza delle scuole secondarie superiori”. Da quando dovevano essere abolite alla resurrezione. Le Province non demordono, anzi chiedono rinforzi: “Serve personale specializzato per le stazioni uniche appaltanti di Province e Città metropolitane: tra gli oltre mille professionisti che ci si appresta a reclutare si dia priorità agli esperti per la progettazione e realizzazione degli investimenti”.
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