Antonio Chianello
2 minuti per la letturaCOSENZA – Un tassista cosentino di 57 anni che si presenta in ospedale ferito quasi a morte da due fendenti al collo e da uno all’addome sferrati con una lama di quindici centimetri. Accade il 7 gennaio del 2020 ed è il preludio a una tragedia – Antonio Dodaro morirà una settimana dopo – ma anche l’inizio di un mistero risolto solo parzialmente ieri con la condanna dell’accoltellatore, il 38enne paolano Antonio Chianello alias “Parmigiano”, cliente abituale della vittima.
L’uomo ha incassato dieci anni di carcere per omicidio preterintenzionale così come richiesto dal pm Antonio Tridico, a riprova del fatto che Procura e giudici si sono ritrovati concordi su un punto: non aveva intenzione di uccidere.
Tuttavia, le ragioni che, suo malgrado, lo hanno portato a trasformarsi in assassino, restano a tutt’oggi imperscrutabili. L’enigma ha origine dalla mancata denuncia della vittima che, anzi, nell’immediatezza accusa un sedicente immigrato salito a bordo del taxi dopo Chianello.
«Mi ha accoltellato per non pagare le dieci euro della corsa» spiega Dodaro il 7 gennaio dopo essere stato accompagnato in Pronto soccorso proprio dal futuro imputato. Una versione che, fin dal principio, non convince gli inquirenti e che si incrina ulteriormente una volta messa a confronto con quella del paolano e della sua fidanzata.
Nel racconto della vittima, infatti, c’è anche lei a bordo del taxi prima di essere scaricata all’Unical insieme al fidanzato. Il tassista avrebbe poi rivisto “Parmigiano” casualmente, nel centro cittadino, dopo aver ricevuto le coltellate, e si sarebbe rivolto a lui in cerca d’aiuto.
Dal canto suo, Chianello conferma la tappa intermedia operata nel campus, ma sostiene di aver proseguito il viaggio in taxi alla volta di Cosenza. Nel mezzo, si colloca la ragazza che, invece, afferma inizialmente di essersi recata a lezione in autobus, salvo poi correggere il tiro e collocarsi anche lei nel veicolo. Insomma, un bel pasticcio, fatto sta che a novembre del 2020 è proprio una donna a dare impulso alle indagini.
La vedova di Dodaro, dopo aver incontrato per caso Chianello, tenta di colpirlo con un coltello e, in seguito, spiegherà alle forze dell’ordine di averlo fatto per punire così l’assassino di suo marito. Spiega che è stato proprio il suo uomo, prima di morire, a confidarle il nome del suo carnefice, spiegandole di non averlo denunciato perché determinato a vendicarsi privatamente.
Non avrà il tempo di provarci o di cambiare idea, ma secondo sua moglie, a scatenare la furia dell’accoltellatore sarebbe stato un debito per una serie di corse che quel passeggero abituale si rifiutava di saldare. Con ogni evidenza, dunque, c’è qualcosa di irrisolto nel rapporto che univa la vittima al suo assassino e che il dibattimento non è riuscito a chiarire. Qualcosa di nascosto e destinato forse a rimanere tale.
Chianello era difeso dall’avvocato Sabrina Mannarino che, una volta apprese le motivazioni della sentenza – saranno rese note fra 60 giorni – presenterà ricorso in Appello contro la condanna. I familiari di Dodaro si erano costituiti parte civile per il tramite dell’avvocato Antonio Spataro.
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