Una filiale della Banca popolare di Bari
6 minuti per la letturaCi rivolgiamo alla presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, Carla Ruocco, perché chieda ai nuovi vertici della banca di rendere pubblico l’elenco dei “furbetti” e dei “furboni” che hanno depredato la Popolare di Bari lasciando il conto da pagare ai contribuenti e ai risparmiatori. Esiste un diritto dell’opinione pubblica di sapere quali sono i prestiti non tornati indietro. Le domande sono tante: di chi sono? Perché si è stati così generosi nei confronti di questi signori e così a lungo da chiudere pervicacemente gli occhi fino al punto di non riaprirli mai? Ci sono una Bari e una Puglia che lavorano, ci sono imprese che lottano a mani nude sul mercato, che hanno diritto di sapere perché la prima banca del Sud era così prodiga di attenzioni per chi non restituiva mai ciò che riceveva e invece così rigida nei confronti di chi aveva buone idee e uno stato di salute non compromesso ma si ritrovava sprovvisto di santi in paradiso. Le tre ipotesi in campo per Mps
La presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, Carla Ruocco, ha detto che un rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione (in gergo cost/income) del 155% della Banca Popolari di Bari preoccupa non poco la sua Commissione. Perché la banca possa crescere e rilanciarsi questo rapporto dovrebbe scendere sotto il 100%. Per vederci chiaro è intenzione della Commissione, ha annunciato la Ruocco, convocare la capogruppo Mediocredito centrale e capire dal gradino più alto quali sono le strategie di business e il piano di crescita della controllata Popolari di Bari.
Apprezziamo l’impegno di questa donna di ferro, che è una grillina che sa di cosa parla in quanto ne ha le competenze, perché la abbiamo già vista all’opera e siamo stati testimoni di come ha fatto ballare quelli che noi abbiamo ribattezzato i damerini della Sace in un’audizione che è rimasta storica. Proprio per questo ci rivolgiamo a Lei perché la Commissione chieda ai nuovi vertici della banca di rendere pubblico l’elenco dei “furbetti” e dei “furboni” che hanno depredato la Popolare di Bari lasciando il conto da pagare ai contribuenti e ai risparmiatori. A cominciare dai 68.500 azionisti il cui investimento si è azzerato e i 17 mila obbligazionisti.
Parliamo di un miliardo e 400 milioni di perdita netta durante la gestione dell’amministrazione straordinaria dal 1° gennaio 2019 al 15 ottobre 2020. A cui vanno aggiunti altri 114 milioni derivanti da perdite del primo semestre 2021 e dell’esercizio ristretto dal 16 ottobre al 31 dicembre 2020. Perdite coperte azzerando tutte le riserve disponibili e riducendo il capitale sociale per 320 milioni di euro, che dunque ora si attesta a 622 milioni. Nel conto complessivo a carico dello Stato restano anche i due miliardi di Npl rilevati da Amco, la finanziaria controllata dal Tesoro, destinata a diventare la discarica del sistema bancario italiano.
Di fronte a questi numeri che riguardano il passato e difficoltà forti che toccano il presente che evidentemente non può non risentire dell’onerosità del passato esiste un diritto dell’opinione pubblica di sapere quali sono i prestiti non tornati indietro. Le domande sono tante: di chi sono? Perché si è stati così generosi nei confronti di questi signori e così a lungo da chiudere pervicacemente gli occhi fino al punto di non riaprirli mai? Ci sono una Bari e una Puglia che lavorano, ci sono imprese del Mezzogiorno che lottano a mani nude sul mercato, che hanno diritto di sapere perché la prima banca del Sud era così prodiga di attenzioni per chi non restituiva mai ciò che riceveva e invece così rigida e ermeticamente chiusa nei confronti di chi aveva buone idee e uno stato di salute non compromesso ma si ritrovava sprovvisto di santi in paradiso.
Il momento della verità prima o poi deve arrivare e non può sempre finire in cavalleria mettendo tutto sul conto del debito pubblico italiano e, quindi, dei nostri giovani.
Questo vale per Bari come per Siena e ovunque. Rimasi sbalordito dal primo elenco di insolventi reso pubblico da MPS con un nugolo senza fine di società legate a chi impartisce lezioni sul capitalismo e rifila i suoi debiti ai contribuenti e a chi gravita nell’area dell’impresa pubblica locale legata al dominio politico del territorio. È molto probabile che la finanziaria guidata da Marina Natale (Amco) sia destinata ad avere un ruolo anche nel futuro di Mps. Perché è molto probabile che dovrà farsi carico anche della “bad bank” di Siena.
Il fallimento dell’accordo tra MPS e Unicredit pesa sulla coscienza dei capi dei partiti italiani perché a neutralità di capitale si trattava di fare dopo tanto tempo un’operazione di sistema secondo le regole del mercato pagando al Tesoro il giusto per MPS e restituendogli un ruolo di azionista nella nuova Unicredit. Che dopo la stagione di Mustier segnata dalla vendita dei pezzi pregiati di casa al migliore offerente straniero, poteva tornare ad avere un ruolo di player globale italiano con uno scenario operativo sul territorio molto più forte nel Centro come nel Mezzogiorno.
Al di là di chi sostiene che abbia reso più difficili le trattative il passato da ministro del Tesoro di Piercarlo Padoan, oggi apprezzato presidente di Unicredit, resta il fatto indiscutibile che tutti i partiti hanno tirato un sospiro di sollievo perché saltando l’accordo si rinviavano i problemi e si rinviavano i tagli di personale. Tutto ciò desta in noi semplicemente sconcerto. Perché il rinvio non risolve ma aggrava gli stessi problemi e priva il sistema italiano che storicamente ha sempre potuto contare su almeno tre grandi banche di avere nell’immediato dopo Intesa Sanpaolo almeno un secondo grande player con uno schema industriale chiaro e definito da realizzare in casa e fuori.
Per MPS, poi, lo scenario resta ancora più incerto e le ipotesi sul campo per ora sono tre: 1) Trovare un altro Unicredit magari non italiano ma non è facile; 2) Ricapitalizzare il Monte dei Paschi in modo da avere una condizione della banca migliore che la renda più capace di avere risultati – anche questo non è facile – e a quel punto puoi rimetterla sul mercato meglio di ora ma intanto si spendono un sacco di soldi e poi si vede; 3) decidi di tenere MPS come una banca autonoma, ma scoprirai molto presto che non ce la fai, neanche dividendola pezzo pezzo, uno lo tieni dove è un altro lo metti con il Mezzogiorno, perché i soldi ancora da tirare fuori sono tanti e devi superare l’esame sull’aiuto di stato di Bruxelles.
In tutte e tre le ipotesi non si devono mai appalesare rischi di insolvenza eccessivi perché MPS è vigilato a livello europeo e Banca d’Italia è compartecipe delle decisioni di vigilanza non per quelle sulla vendita o in genere di risiko bancario. In questo caso bisognerà negoziare con Francoforte che valuterà la sufficienza o meno del capitale e con Bruxelles che vorrà rivedere tutte le condizioni che stanno dietro l’accordo in materia di concorrenza e di altro. Un rompicapo vero.
Per riunire le due Italie e gestire come si deve il Piano nazionale di ripresa e di resilienza la questione credito vale quanto la questione degli organici da rinnovare quasi in toto della pubblica amministrazione territoriale. La prima leva è vitale come la seconda. Anche perché siamo un Paese che se vuole crescere per davvero e a lungo deve fare i conti con la realtà. Deve rendersi conto che non abbiamo quattro milioni di manager che possono gestire quattro milioni di piccole imprese e non abbiamo centinaia di banchieri che possono gestire centinaia di banche. Per questo servono trasparenza e scelte di mercato in una logica di sistema. Non servono i bizantinismi dei territori e le clientele della politica. Devono cambiare le teste e i comportamenti.
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