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POTENZA – Alcune partecipazioni societarie più un ramo d’azienda di una società di Montescaglioso operante nel settore dei lavori di costruzione in appalto, civili ed industriali, «per un valore di oltre 100.000 euro».
Sono i beni confiscati ieri mattina su disposizione della Corte d’assise d’appello di Salerno. Ad apporre i sigilli sono stati i militari del nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Matera al comando del tenente colonnello Aldo Cavallo che nei mesi scorsi hanno avviato una serie di attività di contrasto ai patrimoni riconducibili ai clan.
Bersaglio dei loro controlli sono stati alcuni familiari di Vito Leonardo Bitondo, 43enne nato in Canada ma cresciuto a Montescaglioso, che sta scontando una condanna definitiva per associazione di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, sequestro di persona ed omicidio, detenzione e porto illegale di armi e ricettazione.
Bitondo era stato colpito dalle operazioni condotte a metà degli anni ‘90 dai carabinieri nel nucleo investigativo dei carabinieri di Matera. A coordinare le indagini contro i clan montesi era stato l’allora pm Vincenzo Autera, che oggi presiede la sezione penale della Corte d’appello di Potenza, ma all’epoca per il suo attivismo finì al centro di un progetto di attentato e di minacce rivolte anche a sua figlia, che qualcuno avrebbe pensato di rapire.
A dare la spinta decisiva alle inchieste soprannominate “Isola felice” e “Isola felice” 2 sono state le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. In particolare la seconda decollata con la confessione del materano Rocco Troilo che a settembre del 1997 ha indicato ai militari il nascondiglio all’interno dei Sassi dov’era stato abbandonato il corpo del cugino di Bitondo, Gianfranco, ucciso per ordine del boss, cugino a sua volta di entrambi, Pierdonato Zito.
Dietro l’assassinio, archiviato come un caso di lupara bianca dopo la “scomparsa” della vittima due anni prima, nel 1995, ci sarebbe stato lo scontro tra fazioni che si contendevano l’egemonia dello spaccio a Matera e dintorni.
Il provvedimento eseguito ieri è una misura di carattere patrimoniale che va a incidere «sul patrimonio di un soggetto condannato in via definitiva». Gli accertamenti condotti dalle Fiamme gialle avrebbero consentito di dimostrare «la diretta riconducibilità al condannato di una serie di beni, sebbene intestati ad altri, e la mancanza di giustificazione circa la legittima provenienza del patrimonio nel possesso del soggetto».
«Non a caso – spiega la nota diffusa ieri in serata dalla finanza – la complessa attività di ricostruzione del patrimonio personale dei soggetti coinvolti ha, di fatto, evidenziato una manifesta sproporzione tra i redditi dichiarati ed il costo asseritamente corrisposto per l’acquisto degli assets societari oggetto di confisca».
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