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POTENZA – Condanna annullata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno per un nuovo processo di secondo grado.
E’ quanto ha stabilito giovedì sera la corte di Cassazione accogliendo il ricorso di Amedeo Vernetti, assistito dall’avvocato Giovanni Falci, l’imprenditore melfitano accusato di favoreggiamento aggravato per aver taciuto agli investigatori quanto sapeva sui rapporti tra il clan Cassotta e l’ex consigliere comunale di Melfi, Antonio Lovecchio.
I giudici della suprema corte hanno anche accolto in parte anche il ricorso del boss Massimo Cassotta, assistito dall’avvocato Giorgio Cassotta, e del suo ex amico Adriano Cacalano collaboratore di giustizia da poco più di anno.
Per loro, che in primo grado erano stati condannati a 30 anni per associazione mafiosa, estorsione e soprattutto l’omicidio di Giancarlo Tetta (trucidato a Melfi ad aprile del 2008), in appello era arrivata l’assoluzione per l’ultimo capo d’imputazione, il più grave, con la condanna a 16 e 14 anni solo per i primi due. Di qui il ricorso dei loro difensori e dei familiari di Tetta che non si erano rassegnati a quella decisione.
Ma la Corte di cassazione non ha creduto agli indizi che li collocavano sulla scena del delitto. Anzi ha ridotto le pene per entrambi: rispettivamente a 10 e 9 anni di reclusione.
Nonostante le censure della procura generale, che aveva chiesto di annullare le condanne per l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafiosa, gli ermellini del Palazzaccio sul lungotevere hanno riconosciuto per la prima volta l’esistenza del clan Cassotta. In più hanno respinto i ricorsi presentati dalle difese di Giovanni Plastino e Alessandro Cassotta, entrambi di Melfi e condannati a 8 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsione aggravata. Oltre a quello del venosino Riccardo Martucci, pregiudicato e condannato a sua volta a 8 anni per estorsione aggravata.
L’assoluzione definitiva di Massimo Cassotta e Adriano Cacalano dall’omicidio di Tetta arriva a distanza di pochi mesi dalla confessione di Saverio Loconsolo, che agli investigatori ha raccontato di aver sparato per conto del primo e di essere stato accompagnato nel luogo dell’agguato dal secondo.
In precedenza anche lo stesso Cacalano ne aveva parlato con gli inquirenti accusando Loconsolo, il boss e il suo figlioccio di aver fatto tutto senza di lui.
Comunque stiano davvero le cose per effetto della sentenza della Cassazione, di qui in avanti né Cassotta né Cacalano potranno più esserne chiamati a rispondere.
L’operazione “Fox”, condotta dagli agenti della Squadra mobile di Potenza, era partita proprio dalla morte di Tetta, considerata una vendetta per quella di Marco Ugo Cassotta, fratello di Massimo, a luglio del 2007.
l.amato@luedi.it
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