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REGGIO CALABRIA – Claudio Scajola, le altre 7 persone arrestate e Vincenzo Speziali, indagati in libertà per concorso esterno in associazione mafiosa, attraverso «operazioni politiche, istituzionali ed economiche» sono divenuti «terminale di un complesso sistema criminale». Lo scrivono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria nel decreto di perquisizione eseguito con gli arresti da parte degli agenti della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. 

Secondo i pubblici ministeri della Dda reggina, gli indagati in concorso «con ulteriori soggetti il cui ruolo è in corso di compiuta ricostruzione, prendono parte ad un’associazione per delinquere segreta collegata alla ’ndrangheta dal rapporto di interrelazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio mafioso in campo nazionale ed internazionale». Dalle indagini, rilevano i magistrati nel decreto di perquisizione eseguito contestualmente agli arresti, «sono emersi, peraltro continui contatti e collegamenti fra i soggetti investigati ed appartenenti ad ambienti politici, istituzionali ed imprenditoriali, che hanno anche consentito a più di un indagato di beneficiare di rapporti di alto profilo in tali ambiti operativi». 

Potrebbero anche esserci novità relative alla contestazione dei reati previsti dalla legge “Anselmi”. Le premesse erano già affiorate nella prima parte dell’inchiesta. Mancava però qualche tassello, tanto che la procura di Reggio  ha preferito mantenere un “atteggiamento prudente” evitando di formalizzare accuse specifiche. Ora però grazie ai materiali acquisiti con le perquisizioni di giovedì le cose potrebbero cambiare. Il quadro insomma appare più chiaro, «la rete di relazioni segrete», solo descritta nell’ordinanza del Gip Olga Tarzia, sta prendendo forma. Lettere, mail, documenti «di grande interesse investigativo», saranno passati allo scanner degli esperti della Dia, perché sono stati scoperti intrecci e relazioni che somigliano alla trama descritta dalla Dda della città dello Stretto. Riscontri importanti. Per questo  l’accusa di aver costituito «un complesso sistema criminale, in gran parte di natura occulta ed operante anche in territorio estero» potrebbe concretizzarsi. Dati che vanno analizzati e approfonditi certo, ma che aggraverebbe la posizione di parte degli indagati protagonisti di operazioni politiche, istituzionali ed economiche non esattamente limpidissime. 

Alcuni di loro farebbero parte di una sorta di super loggia «destinata ad acquisire e gestire informazioni riservate, fornite da numerosi soggetti collegati anche ad apparati istituzionali e canalizzate a favore degli altri componenti della ramificata organizzazione». Una lobby per «consentire il proficuo utilizzo delle notizie riservate al fine di dare concreta attuazione al programma criminoso dell’associazione per delinquere i cui componenti risultato portatori di interessi specifici tra loro concatenati». 

Nel frattempo, dalla documentazione che compone l’inchiesta è emerso che parte dei pagamenti in favore di Amedeo Matacena, latitante a Dubai, avvenivano attraverso un conto corrente aperto presso la tesoreria della Camera dei deputati. Il particolare emerge dalla sintesi di una telefonata intercettata tra la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, e l’ex ministro Claudio Scajola. La telefonata risale al 5 febbraio scorso ed è contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Reggio. Ma da Montecitorio arriva una smentita: «Non c’è alcun conto corrente gestito dalla Tesoreria della Camera che sia intestato a singoli deputati o ex deputati». A precisarlo sono ambienti della Camera che aggiungono: I conti bancari della Tesoreria, sono utilizzati «esclusivamente» per «l’attività istituzionale». Non esiste pertanto – concludono gli stessi ambienti – «alcun conto corrente gestito dalla Tesoreria della Camera che sia intestato a singoli deputati o ex deputati».

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