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POTENZA – Comuni inadeguati per gestire i proventi delle royalties del petrolio. E’ il senso del referto sull’utilizzo delle risorse generate dalle estrazioni in Basilicata, illustrato da Giuseppe Teti, ieri a Potenza, nel corso dell’ultima adunanza pubblica della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.

Nei prossimi giorni spetterà al collegio presieduto da Francesco Russo deliberare in proposito. Ma a meno di sorprese l’orientamento dovrebbe essere confermato, delegittimando «i livelli più bassi di governo» della cosa pubblica che dal 2001 al 2012, questo l’ambito temporale esaminato, hanno ricevuto in cassa oltre un miliardo di euro, di cui circa 100 milioni soltanto per il Comune di Viggiano.

I dati presentati ieri mattina sono il risultato di 3 anni di contraddittorio con Regione ed enti locali sulla sulla gestione dei petrol-euro. Un controllo sulla «la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa, al termine del quale, in caso di bocciatura, «le amministrazioni dovranno attenersi alle indicazioni del controllore per eliminare i fattori di scarsa efficacia della gestione e migliorare la propria azione».

I rilievi dei magistrati contabili verranno inviati anche a Parlamento e Consiglio regionale per valutare il da farsi, inclusi eventuali interventi legislativi. E potrebbero pesare non poco nel dibattito in corso tra Potenza e Roma sull’aumento delle estrazioni di petrolio in Basilicata e sul ritorno allo Stato delle competenze in materia energetica, che oggi sono condivise con le Regioni. Una prospettiva che sembra favorire proprio quei Comuni che la Corte dei conti si accinge a bacchettare per la loro inadeguatezza a gestire una risorsa del genere. 

Infatti, stando a quanto emerso dal referto presentato ieri, l’80 per cento circa delle amministrazioni comunali ha utilizzato le royalties per finanziare le proprie spese correnti, e non per «sviluppo e lavoro» come previsto dalla legge. Inoltre «manca ancora un’analisi dettagliata degli obiettivi e dei risultati dei progetti in questo settore».

Per Teti, in primo luogo, le royalties non andrebbero «considerate entrate tributarie, e questo cambierebbe alcuni dei vincoli». In più va sempre tenuto a mente che «il petrolio non è una risorsa di proprietà regionale, intesa come sia come entità amministrativa che come comunità sociale, ma è nazionale e strategica, come si deduce in modo inequivocabile dalle fonti legislative e anche dall’ultimo memorandum».

Ma il magistrato ha evidenziato persino una discrepanza tra i dati forniti dalla Regione e quelli delle compagnie petrolifere su estrazioni e proventi delle stesse. Tanto per rendere le cose ancora più difficili.

«Con rammarico registriamo l’assenza del contraddittorio della Regione stessa, e di molti dei 35 Comuni che ricadono nelle aree di estrazione». Così in aula il relatore, che si è detto anche perplesso «sull’ammontare dei fondi complessivamente andati alla ricerca e all’innovazione, solo 7 milioni, mentre questo avrebbe dovuto essere uno dei punti cruciali dei programmi».

Discostandosi dal tema delle royalties in senso stretto Teti ha sottolineato anche la «lentezza» nell’attuazione delle intese tra enti e compagnie: «basti pensare che il monitoraggio ambientale, deciso nel 1998, ha portato solo lo scorso anno alla nascita di un osservatorio». In più ha denunciato diversi «enti locali che hanno avuto difficoltà a reperire e a inviarci i dati, e anche questo è un elemento di criticità».

l.amato@luedi.it

 

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