X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

 

POTENZA – Tre giovani lucani reclutati da un membro della “banda” di Gennaro Mokbel per rapire il cassiere del gruppo e rubargli il tesoro della maxi truffa Telecom Sparkle – Fastweb che è scampato ai sequestri degli investigatori. 

È il colpo sventato dai carabinieri del reparto operativo di Potenza ad agosto del 2012 mentre seguivano le mosse di alcuni soggetti vicini al clan melfitano dei Cassotta.
Agli atti dell’inchiesta Enrico VI, per cui il pm Francesco Basentini si accinge a chiedere il rinvio a giudizio di 35 persone, ci sono diverse intercettazioni che testimoniano il piano di Giovanni Plastino (35enne già condannato per mafia, armi e tentata estorsione), Aniello Barbetta più noto come Daniele (22) e Roman Mecca (21). Alcune telefoniche e altre ambientali, registrate nella Bmw del secondo su cui i militari avevano installato una cimice e un segnalatore Gps. 

«Lo devo menare e devo stare insieme con loro quando vanno a prendere i soldi». 

 Così Plastino illustra il programma a Barbetta, che sarebbe dovuto andare a prelevare «l’ostaggio» con Mecca, per portarlo in un posto tranquillo, in «campagna». Lì l’avrebbe preso in consegna lui assieme ai suoi “amici” romani che l’avrebbero costretto a rivelare il nascondiglio dei soldi. 

Per assicurare la buona riuscita dell’operazione sarebbero stati coinvolti anche alcuni esponenti «corrotti» delle forze dell’ordine col compito di bloccare il traffico e consentire al «commando» di entrare in azione («State insieme a un capo… a un comandante della finanza, oh…»). 

«Avanti ti metti tu e dietro si mette Roman!» Queste sono le parole registrate dalle microspie dei carabinieri quando i tre si sono ritrovati nella capitale per definire gli ultimi dettagli. «Tu ti metti là. Quello una volta che ha staccato, quello si pensa che… hai capito? Poi quando arrivate più avanti vi mettete il cappuccio e lo tenete con la testa abbassata e lo tenete tutti e due, ed è fatto. Io vi aspetto là. Come arrivate la macchina tua è là. Ti prendi la macchina e te ne vai compare (…) Fate come dico io e non vi preoccupate. Dovete essere solo decisi lo volete fare?». 

Nelle ore successive il Gps avrebbe segnalato diverse soste nel quartiere del Testaccio «tra via Verga e Piazza Corazzini», dove abitava il soggetto da rapire, prima che il «commando» decidesse di ritirarsi, allarmato dalla presenza di alcuni militari pronti ad intervenire. Un soggetto «di corporatura grassa» che non risulta identificato in maniera compiuta, a differenza dell’«ideatore» del piano. 

Secondo gli investigatori guidati dal capitano Antonio Milone ad agganciare Plastino nel carcere di Frosinone durante un periodo di detenzione comune sarebbe stato Roberto Macori, un 39enne romano arrestato a febbraio del 2010 assieme al faccendiere Gennaro Mokbel nell’ambito dell’inchiesta sul caso Telecom Italia Sparkle – Fastweb, su oltre 2 miliardi di euro di capitali illeciti riciclati, sui contatti con ambienti vicini alla ‘ndrangheta e sul sostegno elettorale condizionato per l’ex senatore Nicola Di Girolamo.
Macori è proprio chi aveva accompagnato Di Girolamo in Calabria per propiziare l’appoggio di massa degli “amici” emigrati, prima di andare in Germania a raccogliere le schede da precompilare e inviare al consolato.
Per questo l’anno dopo ha incassato sei anni di reclusione in primo grado con tutto lo sconto del rito abbreviato. Mentre Mokbel a ottobre è stato condannato a 15 anni di reclusione, sempre in primo grado. 

In pratica quei soldi nascosti dall’uomo che Macori e Plastino intendevano rapire non sarebbero stati che parte del bottino della “banda”. In più a riprova di quanto raccontato a Barbetta, sugli esponenti «corrotti» delle forze dell’ordine che avrebbero partecipato all’operazione, i carabinieri di Potenza evidenziano che nell’inchiesta della procura di Roma era stato coinvolto anche un alto ufficiale della Guardia di Finanza. 

Solo il nome del bersaglio non viene svelato, nonostante una coincidenza a cui si stenta a credere. Infatti a 20 metri dall’incrocio il punto segnalato dal Gps dell’auto di Barbetta abitava un altro dei membri della “banda”. Si tratta di Silvio Fanella, un 40enne di corporatura robusta, considerato «lo spallone» che aveva il compito proprio di far sparire i soldi nascondendoli dove gli investigatori non potevano trovarli.

 

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE