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Questa crisi è anomala: bisogna risalire a più di un secolo fa, quando il mondo fu colpito dall’influenza ‘spagnola’ (sia detto fra parentesi, la Spagna non c’entrava nulla) per trovare una crisi economica mondiale innescata da un virus. E, data la scarsezza di precedenti, navighiamo a vista, annaspando fra sorprese positive e sorprese negative.

Quelle positive stanno nel rapido emergere, in meno di 12 mesi, di un vaccino, anzi di più vaccini (per un confronto, ci vollero molti anni per creare un vaccino contro la polio). Un’altra sorpresa positiva sta nella risposta, rapida e generosa, delle politiche economiche che hanno evitato il tracimare della recessione in depressione. Un’ultima sorpresa positiva sta nella insospettata forza della ripresa, che ha portato a numerose revisioni verso l’alto dei tassi di crescita per quest’anno e per il prossimo. Quelle negative stanno, nel campo sanitario, nell’altrettanto rapido emergere di nuove varianti; e, nel campo economico, nel ritorno dell’inflazione, nella crisi energetica, e nello spettro di un default del debito pubblico americano.

Partiamo da quest’ultimo, che è legato alla crisi attuale nel senso che gli Stati Uniti, come tutti gli altri Paesi, hanno dovuto spendere in deficit per contrastare la caduta dell’attività, e il debito pubblico si è gonfiato oltre le attese. In America è in corso un braccio di ferro al Congresso fra Repubblicani e Democratici. Come si sa, il problema verte sulla necessità, per il Congresso, di innalzare il limite al debito. Senza questa autorizzazione gli Stati Uniti sarebbero nell’impossibilità di pagare quel che devono pagare. E la maggioranza democratica nei due rami del Congresso non basta, dato che, a causa di un’altra disfunzione istituzionale, la minoranza al Senato può bloccare quell’innalzamento.

Ci sono vie d’uscita da quest’impasse che si sta giocando sulla pelle dei cittadini (e non solo americani)? Vediamo dapprima perché questa faccenda del limite al debito è assurda e non si ritrova in altri Paesi. Non c’è dollaro che esca dalle casse federali che non sia giustificato da una legge di spesa. Così come non c’è dollaro che entri nella casse che non sia legato a una qualche norma legiferata dal Congresso.

Il deficit che ne risulta non piace? Allora la via maestra è quella di cambiare le leggi di entrata e di spesa che hanno portato a quel deficit, non di rifiutarsi di onorare gli impegni già presi. É un po’ come se uno andasse al ristorante e ingollasse antipasto, primo, secondo, contorno, dessert, frutta, vino, caffè e ammazzacaffé e poi, al momento di pagare, dicesse che non può perché è arrivato al limite di quello che può spendere.

Le soluzioni proposte sono molte. Alcune prendono la cosa sul serio. Il Presidente potrebbe fare a meno del Congresso, innalzando il limite al debito con un ‘executive order’, e questo sarebbe giustificato dalla necessità di dirimere il conflitto: il Congresso gli ha ordinato di spendere quando ha approvato le leggi di spesa, ma poi gli impedisce di spendere perché c’è il limite al debito. C’è una incoerenza che Biden deve risolvere.

Oppure, si potrebbe ricorrere al 14° emendamento alla Costituzione, che statuisce come la «validità del debito pubblico degli Stati Uniti… non sarà messa in discussione». Andare in default vuol dire allora violare la Costituzione, e sta al Presidente di attivarsi perché questo non accada. Da ultimo, Biden potrebbe semplicemente invocare un’emergenza e citare superiori ‘ragion di Stato’.

Poi ci sono le soluzioni ‘un po’ per ridere e un po’ per non morire’. Una proposta dice di abbattere il debito vendendo l’oro di Fort Knox: ma in questo caso ci si limita a ‘dare un calcio alla lattina’, cioè si sposta il problema più avanti nel tempo. Un’altra divertente proposta è quella di sfruttare l’autorità legale che ha il Tesoro americano (come del resto le Zecche di altri Paesi) di batter moneta metallica (il ‘battere’ moneta cartacea o elettronica è riservato alla Banca centrale). Orbene, il Tesoro potrebbe emettere una moneta di platino nella denominazione di un trilione di dollari, depositarla presso la Fed e tirare poi sul conto, così garantito, per soddisfare i propri impegni di spesa.

Questa proposta era stata perfino appoggiata, nell’ultimo tormentone relativo al limite del debito, dal premio Nobel dell’economia Paul Krugman: il Nostro ammetteva cordialmente che si trattava di un artificio, ma scriveva che era un ‘artificio a fin di bene’, mentre l’autorizzazione a innalzare il limite di debito è un ‘artificio a fin di male’. Come finirà? Con ogni probabilità, l’accordo sarà trovato sull’orlo del precipizio. Ma non è questo il modo di gestire un Paese, specie quando si addensano, in un mondo reso fragile dalla pandemia, gli altri problemi di cui sotto.

Inflazione e crisi energetica, abbiamo detto sopra. Le due ‘sorprese negative’ sono legate, ma quella energetica ha anche delle componenti autonome. Partiamo dall’inflazione. Ogni rosa ha le sue spine, e la sorpresa positiva della ripresa si è tirata dietro una forte pressione della domanda di materie prime, energetiche e non (vedi grafico), su una offerta che era stata in precedenza messa in sordina dalla caduta del Pil. Data l’onnipresenza del costo dell’energia, questa pressione sui prezzi è arrivata fino alle bollette del gas e della luce, e a questo punto molti governi (non solo in Italia), timorosi che il ritrovato vigore della spesa delle famiglie avrebbe potuto essere danneggiato dalle bollette, sono intervenuti per alleviare l’impatto.

A questo punto si sono inalberate alcune anime belle, argomentando come questo sollievo sarebbe in contrasto con la transizione ecologica, che raccomanda di risparmiare energia: una bolletta meno cara indurrebbe a scialare sui consumi di gas e di benzina. Ma le anime belle si possono rassicurare: anche dopo l’intervento dei governi, l’impatto sulle bollette sarà sostanziale. Una preoccupazione più fondata è quella secondo cui queste pressioni sui prezzi porteranno ad aumenti dei tassi di interesse, che sarebbero esiziali per un mondo fortemente indebitato.

Sui tassi, tuttavia, e malgrado qualche recente timida prova di rialzo, possiamo stare tranquilli. I tassi-guida delle Banche centrali rimarranno fermi ai livelli vicino a zero, o aumenteranno solo di poco, dato che le autorità monetarie sono (giustamente) convinte che il rialzo dell’inflazione sarà temporaneo, e la ‘magia’ dell’offerta risponderà all’accresciuta domanda. Sui tassi a lunga, le Banche centrali andranno a ridurre gli acquisti di titoli sul mercato, ma la riduzione sarà graduale e andrà di pari passo con le minori necessità di finanziamento dei deficit pubblici (per esempio, in Italia la Nadef ha abbassato, di conserva al miglioramento dell’economia, le stime del disavanzo). Rispetto al passato, anche i tassi a lunga rimarranno in una fascia storicamente bassa.

Più preoccupante, secondo alcuni, è il fatto che in Cina all’aumento dei prezzi dell’energia si siano aggiunti problemi di limitazioni dell’offerta, legati sia alla distribuzione che ai diktat governativi preoccupati dell’inquinamento atmosferico. Non solo in Cina, la qualità dell’aria era migliorata di conserva alla caduta delle produzioni, ma ora l’inquinamento sta riprendendo, in un contesto in cui è tornato in primo piano l’impegno internazionale alla riduzione delle emissioni. Il problema c’è, ma, per quanto riguarda la prima economia del mondo – appunto, la cinese – tutto questo porterà semplicemente a una moderazione del tasso di crescita – forse dal 7 al 6%: un tasso questo, che rimarrà in ogni caso elevato, e non metterà in questione il ruolo della Cina come locomotiva dell’economia mondiale.


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