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POTENZA – Dovranno comparire il prossimo 13 giugno davanti al collegio del Tribunale di Potenza i 12 imputati nel processo “Tandem”.
Lo ha deciso ieri mattina il gup Rosa Larocca accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio del pm Francesco Basentini della Dda di Potenza.
Al centro delle accuse ci sono le dichiarazioni di Adriano e Giuseppe Cacalano, padre e figlio, entrambi collaboratori di giustizia, a cui si sono aggiunte anche quelle di Erio Loconsolo, l’ultimo pentito del clan Cassotta e di sua moglie.
La scelta dei due Cacalano di collaborare con la giustizia risale a marzo del 2012. Mentre quella di Loconsolo era arrivata solo la scorsa estate.
Sergio e Massimo Cassotta, Giuseppe Caggiano, Donato Prota, Michele Morelli, Luciano Grimolizzi, e i giovani Simone Battaglia, Nicola Fontana, Donato Sassone e Alessandro Sportiello, oltre ad Adriano e Giuseppe Cacalano dovranno rispondere a vario titolo di associazione mafiosa, armi, estorsione, favoreggiamento e danneggiamenti vari.
Ma agli atti del processo, in particolare nei verbali di Loconsolo, c’è anche dell’altro. Per esempio che il clan avrebbe avuto in programma una serie di omicidi e tra questi anche quello di un uomo accusato di un furto nei capannoni del patron del Melfi Calcio, Giuseppe Maglione, che nel processo figura come parte offesa di estorsione continuata.
Stando al capo d’imputazione iniziale, che è frutto dei riscontri effettuati alle dichiarazioni del “tandem” Cacalano, per Maglione il pizzo sarebbe consistito in 3mila euro in contanti consegnati a Giuseppe Cacalano, più l’assunzione nella sua ditta della moglie del boss Marco Ugo Cassotta e del fratello della moglie di Massimo Cassotta, erede della guida del clan dopo l’omicidio del primo nell’estate del 2007.
Ma con le rivelazioni di Loconsolo il conto si è appesantito. «Quando ero in carcere mi venivano mandati dei soldi in piccole quantità e a volte Caggiano, per tramite di Giuseppe Maglione, pagava le rate della macchina di mia moglie». Così l’ex “colonnello” pentito che non è stato in grado di dare una spiegazione a tutto ciò a parte riferire «che Maglione era sotto estorsione dei Cassotta».
Ecco perché gli investigatori hanno chiamato la moglie per sentire la sua versione dei fatti su quella strana “bacinella”, come viene chiamata in gergo l’assistenza per i detenuti dei clan e le loro famiglie. E la signora Pamela Festino non si è fatta trovare impreparata depositando un block notes con 23 nomi appuntati: tutti i suoi benefattori. «Si tratta – scrivono gli investigatori della mobile di Potenza – in gran parte soggetti indagati nell’ambito del presente procedimento, di ex sodali dell’indagato e anche di assuntori di sostanze stupefacenti “clienti” dello stesso».
Tra loro c’è anche il pignolese Vito Riviezzi, il figlio di Saverio, considerato il capo dell’ultima ‘ndrina rimasta in piedi dalla scissione dei vecchi basilischi, da sempre molto vicina proprio coi Cassotta.
Quanto le davano? Di solito 50 o 100 euro alla volta, ma ogni tanto anche 400.
Invece sul motivo per cui Maglione le pagasse le bollette, a quanto pare le rate del finanziamento per l’acquisto dell’auto più le utenze domestiche, nemmeno lei è stata in grado di fornire molte spiegazioni. «Io non ho chiesto le ragioni per cui questa persona si prestava a pagare i loro e i miei bollettini ma ho effettivamente iniziato a consegnare dal mese successivo i bollettini del finanziamento e le bollette di luce, telefono e affitto di casa a Giuseppe Caggiano che provvedeva a farmele pagare restituendomi i relativi tagliandini. Questa situazione è accaduta per mesi e comunque fino a quando sono stata a Melfi».
Poi è arrivato il pentimento del marito. La signora ha raccontato anche di quando Massimo Cassotta e Adriano Cacalano hanno suggerito a lei e al marito di occupare un appartamento nel palazzo dove abitavano entrambi. Ma all’Ater nessuno si sarebbe offerto di chiudere un occhio e «dopo un po’» sarebbe arrivata una comunicazione ai due coniugi, «Da quel momento abbiamo iniziato a pagare anche il fitto, con un importo che in realtà recuperava anche le somme dovute per i mesi precedenti». Sempre fin quando il patron dei gialloverdi non si sarebbe offerto di farlo al posto loro.
l.amato@luedi.it
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