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HO TRASCORSO gli ultimi quindici anni della mia professione di insegnante elementare in un’aula del terzo piano della scuola di “San Giovanni Bosco” in via Verdi a Potenza. La mia sensazione è stata sempre quella di trovarmi a navigare in un’imbarcazione da rottamare, con un piano d’evacuazione in caso d’emergenza molto inefficiente. Una barca, però, prestigiosa, storica e antica, da museo archeologico.
In caso di incendio 180 alunni in nove aule, 12 insegnanti e due bidelle avrebbero dovuto uscire per le due porte delle scale esterne d’emergenza o tuffarsi nel mare dalle finestre delle aule. In caso di terremoto, invece, noi insegnanti avremmo dovuto uscire in fila per uno con i nostri alunni, scendendo due piani per le scale interne della stiva. Dopo il terremoto del novembre 1980, nel mese di aprile il direttore mi mandò ad insegnare nella scuola di Iuzzolino, una contrada del comune di Balvano. In quella scuola tre alunni erano morti sotto le macerie della chiesa del paese. I loro compagni di scuola erano tutti visibilmente preoccupati e ansiosi; almeno una volta al giorno simulavamo l’uscita nel caso di una scossa. Io per primo mi rifugiavo sotto la cattedra, gli alunni sotto il banco e dopo alcuni minuti tutti in fila per uno dietro di me uscivamo dalla porta dell’aula a piano terra, direttamente nei prati intorno alla scuola.
Nell’aula c’era una grande e luminosa finestra, che io tenevo quasi sempre aperta. Quando si verificò veramente la scossa, l’unico che si mise sotto la cattedra fui io. Tutti i miei alunni saltarono dalla finestra. Quando abbiamo simulato l’emergenza nella scuola di “San Giovanni Bosco” e ci siamo trovati tutti radunati sotto l’edificio scolastico, ho chiesto sempre la grazia al Santo di non fare insieme ai miei alunni e alle mie colleghe la fine dei topi, schiacciati dalle macerie dei palazzi intorno e vicinissimi alla scuola.
Il Santo mi ha fatto la grazia e oggi sta mandando gli avvisi di garanzia ai genitori e agli amministratori, che ancora continuano imperterriti a essere sordi e ciechi e perseverano nell’errore di voler utilizzare questa vecchia scuola in questa via non idonea per ospitare gli alunni. Nella città di Potenza siamo circondati dal cemento, viviamo nel cemento, respiriamo cemento. Io ed i miei 20 alunni trascorrevamo 4 ore e mezza la mattina e altre due ore pomeridiane il martedì e il giovedì insieme, come sardine, a stretto contatto di gomito in uno spazio simile a una gabbia di pollo d’allevamento.
In un’altra stanza con gli stessi metri quadrati di un’aula, lavoravano il dirigente scolastico (il direttore), quello amministrativo (il segretario) e altre tre applicate di segreteria. L’unico posto per mettere gli zaini erano le sedie, dove gli alunni poggiavano i glutei per non farle inclinare. Quando un bambino si alzava per andare al bagno o per venire a scrivere sulla lavagna, succedeva un mezzo terremoto e spesso veniva beccato dagli altri polli, perché faceva cadere gli altri zaini o spingeva i loro gomiti mentre scrivevano, costringendoli a disegnare sul foglio uno scarabocchio. Durante la ricreazione, 180 alunni potevano utilizzare due bagni per donne e due bagni per maschi.
Osservate quello che succede nei bagni di un’area di servizio durante la sosta di un pullman che trasporta gli studenti in gita scolastica. I bagni a disposizione sono almeno 6 per le donne e sei per i maschi, i gitanti sono circa 50 e si crea confusione. Immaginate i nostri 180 alunni del terzo piano come erano felici di esercitarsi a camminare “renz renz” tra la folla che assisteva alla sfilata dei Turchi nei pressi dell’antica drogheria di Renza in Strada (detta volgarmente via) Pretoria.
Nella “palestra” a mala pena riuscivo a far giocare 10 bambini mentre gli altri 10 aspettavano seduti per terra il loro turno. Mi trovavo nella condizione di un istruttore di nuoto, che doveva insegnare lo stile libero in una pozzanghera. In una scuola della provincia di Potenza, 35 anni fa, il mio direttore convocò i genitori, per informarli che stava prendendo provvedimenti nei confronti di un insegnante che si faceva masturbare dalle alunne vicino alla cattedra. Grande fu la sorpresa del direttore, quando si sentì rispondere dalle mamme: “Direttò, lu maestr ha fatt scicola pure a noi”. Ancora più grande è stata ed è la mia sorpresa nell’ascoltare ancora oggi alcuni genitori degli alunni che frequentano la scuola di “San Giovanni Bosco” che desiderano che i loro figli continuino a frequentare la loro vecchia scuola. Rispettano la tradizione o piuttosto le loro esigenze di comodità territoriale? Io, le mie colleghe e i miei alunni ci siamo salvati. Voi, speriamo che ve la cavate.
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