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Un banchetto per promuovere la prevenzione

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Una malattia silente che non è mai scomparsa e che continua a diffondersi anche tra i giovani. Ogni due giorni, una persona contrae il virus dell’Aids. Nell’arco del 2019 (report Hiv Puglia) sono stati diagnosticati 162 casi nella nostra regione. Una catena di contagi pienamente attiva. I numeri del report evidenziano che continuano ad infettarsi i giovani (range 25-29 anni), la maggior parte di essi (85%) sono maschi che fanno sesso con altri maschi.

Bari resta comunque la provincia con il più alto numero di nuove diagnosi. Ma il dato più preoccupante è la percentuale di soggetti con una diagnosi tardiva della positività all’Hiv: sono il 57,5% quanti se ne rendono conto solo quando appaiono i primi sintomi, mentre il 39,9% a malattia già conclamata. Un ritardo pericoloso quando si parla di Hiv perché chi non è cosciente continua a infettare e alimentare la catena dei contagi.

A volte prima di entrare nella malattia conclamata passano anche dieci anni: ecco perché la prevenzione è essenziale. Il blackout sanitario, durato quasi due anni e causato dall’emergenza Covid, ha lasciato il virus libero di circolare: i test rapidi nel reparto infettivo del Policlinico sono stati sospesi così come nel reparto di Igiene. Il Covid ha avuto la capacità di far cadere tutto nel dimenticatoio e i numeri che ci si aspetta per l’anno in corso, sono catastrofici. Lo conferma a chiare lettere Angela Calluso, presidente del Cama lila Puglia.

«Nel 2020 – spiega – è stata registrata una significativa diminuzione delle segnalazioni di nuove diagnosi di infezione da Hiv/Aids. Ciò è riconducibile alle difficoltà di accesso, nei mesi scorsi, a prestazioni sanitarie e diagnostiche, come test di screening per Hiv, negli ambulatori e nelle associazioni dedicate sul territorio. I test rapidi -prosegue – rappresentano la vera prevenzione. È l’unico strumento che abbiamo per fermare la malattia».

Oggi le attività nel reparto infettivo del Policlinico sono ripartite, ma procedono a singhiozzo. «Ci arrivano – dice Calluso – segnalazioni di code di malati in attesa di poter entrare negli ambulatori, di persone in coda fuori dai reparti, in barba, a qualsiasi rispetto della privacy e anche della salute. Sono pazienti immunodepressi che dovrebbero essere tutelati. Sino a prima dell’emergenza Covid – sottolinea – avevamo a disposizione una stanza nel reparto infettivo dove i pazienti incontravano, una volta alla settimana, uno psicologo, un assistente sociale e un volontario.

Un servizio importante perché, vi assicuro, il sostegno psicologico è necessario quando si deve affrontare questa malattia. Oggi quel sostegno lo abbiamo perso. Spero che, con la ripresa delle ordinarie attività, si possa ricominciare da dove abbiamo lasciato». Ma i problemi per la gestione di un paziente sieropositivo non finiscono qui. La farmacia del Policlinico non ha più farmaci sufficienti per soddisfare il bisogno dei pazienti. La direzione sanitaria ha quindi proposto che tutte le farmacie del territorio possano fornire i medicinali.

«Non è una proposta accettabile – spiega il presidente -. Ci sono pazienti che vivono in piccoli paesi e che sarebbero costretti a svelare la loro positività per ricevere i farmaci, con tutto ciò che questo può comportare». Sì, perché se è vero che di Aids non si muore più, è anche vero che il pregiudizio uccide ancora.

«Oggi come in passato – racconta Nicola Catucci, coordinatore del Cama lila Puglia – assistiamo a episodi di discriminazione. Di Aids non si parla più e la gente continua ad averne terrore. Più volte ci è capitato di proporre progetti per i ragazzi delle scuole medie senza avere alcuna risposta». Nel tempo la scienza ha fatto passi da gigante: con i giusti farmaci, un positivo può non essere contagioso e condurre una vita normale. La ricerca ha indebolito il “mostro” degli anni ‘90, ma la paura, quella no.

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