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VIBO VALENTIA – Il terremoto giudiziario che ha sconvolto Vibo Valentia potrebbe non essere finito. Ci sarebbe infatti un “soggetto non ancora individuato” che, secondo il giudice delle indagini preliminari Abigail Mellace, sarebbe il responsabile “dell’inerzia investigativa sulla cosca Mancuso” costata l’arresto degli ex vertici della Squadra Mobile di Vibo, Mautrizio Lento ed Emanuele Rodonò (LEGGI). Una figura apicale che teneva i fili di una situazione fatta di confidenze e collusioni.
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Il gip spiega che in una conversazione Rodonò riferisce chiaramente al suo interlocutore di non aver potuto indagare sui Mancuso al fine “di eseguire ordini superiori provenienti da un soggetto non ancora individuato” al quale Rodonò sarebbe stato legato da “un debito di fedeltà ed amicizia”, e da “motivi gerarchici”.
Per il gip di Catanzaro, la conversazione fornisce “la prova certa ed inconfutabile” della situazione di “inerzia investigativa” sul clan Mancuso, anche se “sulla genesi di tali determinazioni di Rodonò”, secondo il gip, “è evidente che non ha inciso l’avvocato Antonio Galati”. Galati è l’avvocato consulente negli affari del clan Mancuso, ma capace, secondo l’ordinanza di custodia cautelare, di interagire con pezzi importanti dello Stato
Sulla presunta inerzia investigativa degli inquirenti vibonesi si erano già pronunciati il gip ed il Tribunale della libertà di Salerno, con conclusioni opposte rispetto alla magistratura catanzarese, in relazione all’inchiesta riguardante alcuni magistrati. I due organismi avevano invece sottolineato come l’allora pm antimafia, Giampaolo Boninsegna, avesse chiesto al procuratore della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, il visto per l’arresto sin dal 2010 nei confronti di Antonio Maccarone, Pantaleone e Antonio Mancuso.
Tale richiesta – ritenuta fondamentale dal gip di Salerno per scagionare l’ex pm della Dda – non era stata però trasmessa dalla Dda di Catanzaro ai colleghi di Salerno, ma era stata invece depositata dallo stesso Bonisegna al gip in sede di interrogatorio.
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