La Corte d'appello di Catanzaro
2 minuti per la letturaCOSENZA – Trent’anni di carcere per Francesco Cicero e Mario Pranno, ma quest’ultimo sconterà solo tre anni e quattro mesi per via della continuazione con la condanna incassata nel processo “Missing”; due anni a testa invece per Aldo Acri e Francesco Saverio Vitelli, entrambi collaboratori di giustizia.
Sono queste le condanne decretate ieri a carico del quartetto ritenuto coinvolto nell’omicidio di Santo Nigro consumato il 18 novembre del 1981. Un caso rimasto insoluto per 39 anni e riaperto solo di recente, tant’è che Pranno e Cicero, a marzo del 2020 finiscono addirittura in carcere per qualche giorno prima di tornare in libertà grazie al Riesame.
Tutti poco più che ventenni all’epoca dei fatti, ma già noti alle cronache per la loro appartenenza al clan Perna-Pranno, sono stati anche loro protagonisti della guerra di mafia contro i rivali della cosca Pino-Sena. Proprio il 1981 è l’anno più cruento di quel conflitto che segna una scia di lutti dall’una e dall’altra parte, con qualche caduto innocente nel mezzo.
Tra questi, figura Nigro il commerciante che paga con la vita il suo rifiuto a pagare un’estorsione. Per questo motivo, quel 18 novembre, un commando lo raggiunge nel suo negozio di pelletteria in allestimento in via Popilia per ucciderlo a colpi di pistola. Durante l’agguato, resta ferito anche suo figlio di diciannove anni, presente anche lui nel negozio.
Mandante di quell’agguato è considerato proprio Mario Pranno che, in quel periodo, è uno dei capi dell’organizzazione in condominio con Franco Perna, mentre il sicario che esplode materialmente i colpi è Aldo Acri, collaboratore di giustizia fin dalla metà degli anni Novanta. Sono proprio le sue dichiarazioni, unitamente a quelle di altri pentiti d’antan come Roberto Pagano, Francesco Tedesco, Franco Garofalo e lo stesso Vitelli a rappresentare il principale atto d’accusa del processo.
Nell’inchiesta trovano posto le dichiarazioni dello stesso Pranno, meteora del pentitismo cosentino alla fine degli anni Novanta che, fra le altre cose, si autoaccusava di quel crimine, spiegando però che il suo ordine originario non era di uccidere il commerciante ribelle, bensì quello di «dargli una lezione» per evitare che il suo esempio venisse imitato da altri. Pranno era difeso dagli avvocati Marcello Manna e Gianluca Garritano, Cicero dall’avvocato Riccardo Panno.
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