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CATANZARO – Confermate le assoluzioni di Nicola Adamo, Ennio Morrone, Franco Morelli, Aldo Curto. E poi una raffica di prescrizioni e due riduzioni di pena. La sentenza d’Appello del processo Why Not sbriciola le residue posizioni di un procedimento che aveva causato un terremoto politico in Calabria e non solo.

La corte ha dichiarato inamissibile il ricorso della Procura generale che contestava l’assoluzione ottenuta in primo grado dall’ex vicepresidente della Regione, dei due esponenti di Centrodestra e di Curto: “sopravvenuta carenza d’interesse” è la motivazione espressa. Per il resto, una serie di prescrizioni: per Basile, Calvano, Gallo, Gargano, Montagnese, Pometti, Spataro e ancora per Ennio Morrone. La prescrizione di una parte dei capi d’imputazione ha comportato una riduzione di pena anche per Giancarlo Franzè (2 anni e una sanzione da 1.500 euro) e Rosaria Marasco (un anno).

Il primo grado del processo Why not  su presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici in Calabria si concluse al piano terra del nuovo palazzo di giustizia il 31 luglio del 2012. Furono necessarie decine di udienze, ore e ore di testimonianze in  aula per arrivare ad una unica conclusione: non ci fu alcun finanziamento illecito, nessuna corruzione elettorale. 

LE CONDANNE DI PRIMO GRADO – Ventisei le persone tra politici, funzionari pubblici e imprenditori accusati a vario titolo di abuso di ufficio, truffa e corruzione, erano state rinviate a giudizio il 3 marzo del 2010. Ma solo per tredici, tra condanne e assoluzioni,  la sentenza venne impugnata davanti alla  Corte d’appello.  Le condanne di primo grado: inflitti 3 anni e 6 mesi di reclusione a Giancarlo Franzè (ex dirigente della società “Why not”);  due anni a Rosalia Marasco (dirigente regionale del dipartimento Personale);  8 mesi a Rosario Calvano; un anno e 6 mesi a Antonio Gargano (l’ex presidente di Fincalabra), un anno a Michele Montagnese, così come per Michelangelo Spataro, e Filomeno Pometti. Erano stati condannati poi a 8 mesi di reclusione anche l’ex consigliere regionale Dionisio Gallo (Udc) e l’ex assessore Domenico Basile (An). Contestualmente vennero assolti  Aldo Curto,  Ennio Morrone, Francesco Morelli, Nicola Adamo. 

LE ACCUSE DIETRO AL PROCESSO – Progetti approvati ma mai realizzati. Lavoratori assunti che non avrebbe mai prestato alcuna attività. E poi su tutto l’affidamento da parte della Regione Calabria di alcuni servizi a società private che impiegavano lavoratori interinali. L’inchiesta Why not che ha portato al processo conclusosi ieri in primo grado, era questo e tanto altro. Per l’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Massimo Lia e Eugenio Facciola, «a nessuno interessava la proficua esecuzione dei servizi. L’unico obiettivo per la parte privata era acquisire commesse e per la parte politica consenso clientelare», parlando proprio dell’affidamento dei servizi alle società Brutium e Why not. E allora la scelta dei lavoratori da impiegare avveniva sulla base delle indicazioni di vari referenti, politici o amministrativi. Poi, i progetti. “Infor”, “Bifor”, sul fabbisogno formativo del personale della Regione o la vicenda della sorveglianza idraulica o ancora quella relativa al censimento del patrimonio immobiliare della Regione Calabria tra i tanti. Pensati, finanziati anche, ma mai realizzati. 

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