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VITO Verrastro deve aver avuto un piccolo guizzo di follia per fare di un’idea, un’esperienza che ha trasformato l’aproccio al tema del lavoro in radio e che ha disseminato buone pratiche, speranza e diverse storie di successo un po’ ovunque. Giornalista, appassionato di tutto quello che è comunicazione, potentino, è l’anima di Lavoradio: un appuntamento radiofonico che da più di due anni racconta in tutto il Mezzogiorno come si può uscire dalla crisi. Con storie dal territorio e interventi di esperti e autori, news e chicche su bandi e occasioni in corso. Diciotto minuti a settimana, 70 puntate registrate, 200 storie raccontate, vita animata sui social e presto la presenza nell’appstore.

Come nasce l’idea di LavoRadio? 

«Un po’ per passione, un po’ per sfida, un po’ per senso di responsabilità. La mia ultima esperienza radiofonica risaliva al 1999, da corrispondente e inviato di Rds. In seguito avevo avuto delle proposte, ma non mi avevano mai convinto del tutto. La scintilla giusta si è innescata nel 2012: la tv continuava a rappresentare l’immagine della crisi come un enorme tunnel senza uscita. Guardando l’espressione dei miei figli di fronte ai tg che sembravano “bollettini di guerra” ho avuto una reazione che, simbolicamente, mi ha spinto a spegnere la tv e (ri)accendere la radio».

Un bisogno di futuro, quindi.

«Sentivo la necessità di spiegare ai ragazzi, non solo ai miei figli, che dalla crisi si esce anche attraverso la leva culturale e che, nonostante le gravi difficoltà, c’era un’altra realtà fatta di persone, giovani e meno giovani, capaci di reagire, di mettersi in gioco, di sviluppare networking e di inventare professioni innovative, startup».

C’è anche dell’incoscienza nella spinta?

«Io stesso in passato ho rinunciato alla sicurezza di contratti a tempo indeterminato per inseguire il mio sogno in equilibrio instabile da free lance della comunicazione, qui al Sud. Penso che una terza via tra l’emigrazione e la raccomandazione ci sia e possa essere percorsa: è dura, bisogna aggiornarsi continuamente, essere iperprofessionali e affidabili, essere disposti a vivere in bilico. Le persone fanno la differenza, al di là di strumenti e tecnologie».

Valore sociale dell’informazione.

«La cosa bella di tutta l’operazione Lavoradio è che è stata avvertita da tutti come una “missione”, una sfida culturale verso noi stessi e a beneficio di chiunque ne avesse necessità: né io, né Angela di Maggio (la collega in trasmissione), né Francesco Cutro (che ha collaborato con noi) né Gianluigi Petruccio (che ci ha messo a disposizione gli studi di Trm Radio Tour ), né i partner o gli altri editori che hanno accolto questa sfida si sono mai chiesti “Cosa ci guadagneremo?”».

Perché si sceglie di investire tempo e risorse così?

«Quando parlavo di “senso di responsabilità” volevo alludere proprio a questo: siamo sempre bravi a criticare, a stare alla finestra, ma poi difficilmente ci mettiamo in gioco. Con Lavoradio abbiamo imparato a inquadrare la crisi come un cambiamento, come un’opportunità che genera occasioni».

Perché funziona il format?

«Sono convinto che la radio sia uno strumento moderno e un po’ magico. E poi si lega perfettamente alle nuove tecnologie, al web: tutto ciò che produciamo viene assemblato e distribuito via radio (su 4 emittenti che coprono un territorio che va dal salernitano alla provincia di Messina), in streaming, via web e social network, in podcast (su soundcloud.com/lavoradio) e prossimamente anche su cellulari e smartphone attraverso una app».

Tra tutte le storie incrociate, a doverne sceglierne una?

«Ogni storia ci ha lasciato qualcosa: un granello di saggezza, un’impronta di caparbietà, una pillola di sana genialità italiana. Giuseppe Tamburino, per esempio, dalla sua passione per la corsa ha creato il profilo di personal running motivator; Gianluca Cassandra ha inventato il teatro in franchising. E poi tante startup del Sud (Basilicata e Calabria comprese), che ci danno l’idea di un Mezzogiorno che sa viaggiare veloce, nonostante pensiamo sempre di essere in mezzo al guado».

Perché questa esperienza significa fare innovazione?

«Al di là dell’aspetto tecnologico, fare innovazione  significa contribuire a produrre un cambio di mentalità, di modalità di porsi di fronte al mercato del lavoro. Innovazione è stata anche riuscire ad adattare il format radiofonico di Lavoradio in un evento “live” realizzato a settembre 2013: “Jobbing Fest” è piaciuto, tanto che la Regione Basilicata lo ha scelto come l’evento 2013 del Fondo Sociale Europeo. Grazie al Jobbing Fest abbiamo incontrato 500 ragazzi delle quinte superiori di Potenza e Matera, trasmettendo messaggi a ritmo radiofonico e in stile TedX».

Dovendo fare un bilancio?

«La soddisfazione più bella me l’ha data una ragazza lucana dicendomi che, grazie a Lavoradio, aveva tirato fuori dal cassetto un progetto. Le avevamo dato il coraggio di provarci. E poi ci sono i risultati pratici. Basilicata Innovazione ci ha premiato dandoci la mediapartnership della business plan competition Startcup Basilicata. Il Barcamper che ci ha concesso un’area di visibilità allo Smau a Milano. Stiamo sottoscrivendo contratti di media partnership con il Digital Festival e con il Wister Learning Meeting».

Progetti futuri?

«Stiamo ragionando su un’idea di impresa: dopo averne ascoltate tante, ci è venuta l’acquolina in bocca».  

s.lorusso@luedi.it

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