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POTENZA – La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le considerazioni dell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia in cui si accennava a un problema «di comunicazione» tra magistrati che ormai avrebbe oltrepassato i confini della regione.
Ha affidato la replica stizzita alle critiche nei suoi confronti a una breve dichiarazione al Tgr, Celestina Gravina, il procuratore capo di Matera al centro di un vero e proprio scontro con gli inquirenti dell’antimafia potentina.
Lo ha fatto denunciando le «giaculatorie» e la pubblicazione di «notizie che dovrebbero essere coperte dal segreto d’indagine». Una stoccata rivolta direttamente all’autore del capitolo sulla Basilicata della relazione sul contrasto ai clan nel 2013, diffusa e ripresa per ampi stralci nei giorni scorsi da varie testate locali e nazionali.
L’oggetto del contendere è la gestione dei fascicoli sugli incendi e i danneggiamenti, che non smettono di ripetersi nel metapontino. La questione era emersa già nel 2011, quando a capo della Direzione distrettuale antimafia c’era ancora Giovanni Colangelo. Ma da allora continua a riproporsi identica nei bilanci annuali tracciati dai magistrati di coordinamento tra gli uffici giudiziari periferici e la superprocura guidata da Franco Roberti.
Si tratta di fatti slegati l’uno dall’altro, come sostiene la Procura di Matera, secondo un approccio al fenomeno che è già stato definito «parcellizzato»? Oppure dietro a ognuno di loro c’è la mano di un’organizzazione criminale a livello della ‘ndrangheta, dei clan pugliesi e di quelli che un tempo si chiamavano basilischi, come invece sospettano i pm della Dda di Potenza?
A livello processuale il dubbio resta irrisolto. Intanto, però, la relazione della Direzione nazionale antimafia usa parole molto esplicite per descrivere la situazione.
«Lo sviluppo delle indagini – scrive Elisabetta Pugliese che è stata appena sostituita nel ruolo di coordinamento per la Basilicata da Francesco Mandoi – appare condizionato o, quantomeno, rallentato dalla perdurante e ormai annosa resistenza della Procura della Repubblica di Matera a fornire alla Dda atti di fascicoli incardinati presso detta Procura della Repubblica e ripetutamente richiesti dalla Dda di Potenza».
A proposito delle «le difficoltà comunicative tra la Procura distrettuale e quella materana» viene spiegato che all’apparenza «sembrano essersi acutizzate ed estese anche ai rapporti tra la Procura territoriale e la Direzione nazionale». Motivo per cui non resterebbe altro che augurarsi che l’approccio “minimalista” degli inquirenti della città dei Sassi corrisponda allo stato dei fatti. Per quanto sul punto solo i mezzi a disposizione dei colleghi potentini potrebbero fornire risposte più approfondite.
Breve e decisa la risposta che ieri il procuratore Gravina ha affidato alla televisione.
«La procura di Matera ha un atteggiamento conforme alle norme di piena apertura verso gli altri inquirenti nel rispetto del principio di reciprocità dello scambio di atti e informazioni e nel rispetto dei principi di competenza e segretezza delle indagini».
Tanto per negare l’esistenza di «alcuna barriera» tra gli uffici inquirenti in Basilicata.
Poi l’attacco sui modi, che comprende anche il merito della questione, da parte di chi ritiene «che il contrasto al crimine si debba svolgere con i fatti e con i processi piuttosto che con la replica di giaculatorie».
Un’accusa rivolta anche ai colleghi potentini? In via Nazario Sauro il procuratore reggente Laura Triassi si è trincerato dietro un secco “no comment” spegnendo ulteriori polemiche.
Dunque con ogni probabilità se ne riparlerà di qui ad altri 12 mesi quando verrà pubblicata la relazione sulle attività della Dna nel 2014.
A quel punto spetterà al nuovo coordinatore per la Basilicata trovare i termini più appropriati per inquadrare la questione. Sempre che intanto, Francesco Mandoi, non sia riuscito a disinnescarla d’accordo col nuovo procuratore capo di Potenza, Luigi Gay.
Fino a una settimana fa, Gay e Mandoi, si contendevano la stessa poltrona e domani dovranno collaborare fianco a fianco per risolvere uno scontro che va avanti da troppo tempo.
Il rischio – inaccettabile – è solo che quel giorno a Metaponto e dintorni sarà già tardi per chi è scampato fino ad oggi alle fiamme appiccate incendiari, ma potrebbe svegliarsi in qualunque momento vedendo andare in fumo tutto quello per cui ha lavorato una vita.
Altro che “derby” tra procure.
l.amato@luedi.it
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