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Quasi 11mila professori in più a tempo indeterminato, per la precisione 10.803, e 1.807 immissioni a tempo determinato, complessivamente 12.610 docenti per il Sud.
Non accadeva da anni che il mondo della scuola venisse rafforzato anche nel Mezzogiorno in maniera rilevante, ma si tratta solo del primo passo di costruzione e di recupero di un gap tra Nord e Sud che si è creato negli ultimi 20 anni di sottofinanziamento degli istituti meridionali.
Per eliminare le diseguaglianze, tutt’ora esistenti e che resistono agli innesti di quest’anno, occorre una riforma generale che parta, con i soldi del Recovery, dalla ristrutturazione degli edifici e delle aule e finisca con il potenziamento degli organici. Perché puoi anche avere una flotta importante di insegnanti, ma se non hai gli spazi le “classi pollaio” resteranno.
LE CIFRE DEL GAP
Dodicimila docenti in più è, appunto, un inizio, un cambio di tendenza dopo anni di assunzioni con il contagocce. Però è pur vero che le differenze che si sono ormai incancrenite non si riusciranno a colmare con un colpo di spugna: per avere un’idea, la Puglia ha, dati del Ministero alla mano, 551.238 alunni iscritti solamente nelle scuole statali; l’Emilia Romagna ha 544.675 studenti; il Piemonte 514.644; la Toscana 465.711. Eppure nelle nuove immissioni di docenti a tempo indeterminato, la Puglia potrà contare su 2.422 insegnanti in più, mentre l’Emilia Romagna su 3.623; al Piemonte ne sono stati destinati 3.845; alla Toscana 4.099.
Nonostante abbia meno alunni, il Nord ha avuto più assunzioni di personale, una distorsione che ha diverse concause. La prima: il 50% dei docenti che lavora al Nord è originario del Mezzogiorno e ha chiesto e ottenuto di poter tornare a casa, dalle proprie famiglie. Quindi si sono creati buchi negli organici delle scuole settentrionali, di qui la necessità di andare a coprirli con nuove immissioni in ruolo.
Poi, c’è un “difetto di sistema”: al Sud, nonostante il maggior numero, in media, di iscritti, le classi sono di meno e, di conseguenza, più affollate. Il calcolo su quanti docenti destinare viene fatto sul numero delle classi, ed ecco l’inghippo e l’urgenza di rifondare il settore scolastico dalle fondamenta: servono edifici nuovi, sicuri e che mettano fine alle “classi pollaio”. Basti pensare che nelle scuole del Nord ogni professore, mediamente, insegna a 10 studenti; al Sud, invece, per ogni docente ci sono 13,5 alunni.
CLASSI STRACOLME
Nel Mezzogiorno le scuole pubbliche – di ogni grado e livello – sono 2.528, il personale docente è pari a 231.051 unità: in sostanza, in ogni istituto scolastico, mediamente, sono impiegati 91 insegnanti. Al Nord, invece, le scuole sono 3.266 e i professori 356.100: risultato, in ogni istituto lavorano circa 109 docenti.
Non solo: le classi sono più sovraffollate in Puglia, Campania e Calabria rispetto a Piemonte, Lombardia o Liguria. Infatti, mentre al Nord per 3.646.003 alunni iscritti ci sono 200.828 classi (poco più di 18 studenti per classe), al Sud per 3.121.930 ragazzi ci sono 112.214 classi (rapporto: 27,8 alunni per classe). Quindi nel Mezzogiorno ogni docente deve seguire contemporaneamente circa 10 studenti in più rispetto ad una classe media del Nord. Con inevitabili ripercussioni sul percorso di studio.
Anche sul personale non docente, il cosiddetto personale Ata, ci sono significative differenze: nelle scuole del Nord sono impiegate 87.746 persone, al Sud 54.832. Questo significa che al Sud per ogni dipendente ci sono 57 studenti, al Nord il rapporto è di uno per 41 alunni.
Pure sui professori con contratto a tempo indeterminato bisognerebbe aprire una riflessione: rispetto al totale nazionale, il 39,4% dei docenti con una cattedra “fissa” lavora nelle scuole delle Regioni del Nord, mentre al Sud la fetta è solo del 28,6%. In soldoni, nel Mezzogiorno ci sono più precari.
IL TEMPO PIENO
Gli istituti scolastici del Sud sono sempre più in difficoltà e, in questa situazione, anche il tempo pieno nella scuola primaria italiana (ex elementare) è un miraggio. Figuriamoci organizzare due turni. Al Sud i bimbi tra i 6 e gli 11 anni che possono usufruire delle 40 ore settimanali è residuale e le differenze rispetto a Torino, Milano o Padova sono abissali. Tranne il Lazio, che con il 58,4% di classi a tempo pieno è la prima regione in Italia, nei primi sei posti della classifica ci sono solo Regioni settentrionali: in Piemonte nel 57% delle classi c’è il tempo pieno, in Toscana la percentuale è del 55,6%, in Lombardia del 54%, seguono Emilia Romagna (53,1%) e Liguria (51%).
Il distacco rispetto al Sud è ampissimo e incostituzionale: in Calabria solo nel 28,5% delle classi sono garantite le 40 ore settimanali, ma la situazione è addirittura peggiore in Campania (22,3%), Puglia (appena il 18,7%), Molise (12%) e Sicilia (11,6%).
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