Il presidente del Consiglio Mario Draghi
5 minuti per la letturaIl dato più interessante dell’Italia di oggi è che nelle vene del Paese si sta risvegliando la maggioranza di quelli che hanno fatto il vaccino e che non ne possono più di queste minoranze No Vax a cui nessuno ha più voglia di dare credito. Tale risveglio vuol dire che la gente intende scommettere su questa ripresa. Non deve finire come è successo con il centrosinistra che, dopo i conti prudenti con la realtà di Moro, si è tornati indietro a una società di centrismo allargato. Il Paese invece vuole andare avanti. Anche nella scuola va bene così: bisogna fare i vaccini, dicono tutti, però fino a poco tempo fa non era così. Siamo ripartiti con 900 mila click sulla piattaforma digitale statale che danno ai presidi le informazioni che servono in un secondo. La novità è che molti sembrano averlo capito
IL DATO più interessante dell’Italia di oggi è che nelle vene del Paese si sta risvegliando la maggioranza di quelli che hanno fatto il vaccino e che non ne possono più di queste minoranze no vax a cui nessuno ha più voglia di dare credito. Tale risveglio vuol dire che la gente intende scommettere su questa ripresa. Il Paese vuole andare avanti. Anche nella scuola va bene così: è giusto, bisogna fare i vaccini, dicono tutti, però fino a poco tempo fa non era così. Ci si sta accorgendo che non si può lasciare solo quel Paese che ha risposto bene all’invito del governo e di Draghi.
Se questo trend funziona e se le amministrative daranno un certo tipo di risultato, si apre una stagione nuova che non è più quella della indecisione, ma non è neppure una stagione in cui tutti correranno in automatico dal Pd e da Conte come si vuol far credere. Il tema non è questo, supertalk estate-inverno a parte.
Perché in realtà, fuori dai semplicismi del politichese che vive in un mondo tutto suo, quello che viene fuori è un movimento contagioso di chi ha fiducia nel cambiamento di Draghi. Non è più il tempo dei diritti individuali, ma dei diritti sociali, dice Prodi, che da sempre sente le viscere della sua comunità e ha fiuto politico della politica vera, non di quella politicante. Sono tutti segnali di un Paese che da sempre ha avuto un sentimento pubblico altalenante, con alti e bassi anche vertiginosi, ma che questa volta sta cambiando.
Sono finite le vacanze ventennali del Paese. Proprio questa ripresa della scuola è emblematica che le vacanze sono finite per l’intero Paese. Siamo un Paese che vive molto il tempo scandito dalla scuola. Abbiamo sempre vissuto come uno spartiacque il passaggio dalle vacanze alla scuola. Nella coscienza collettiva siamo fatti così. Ce lo portiamo dentro da bambini. Questa volta, diciamocelo, siamo ripartiti con 900 mila click sulla piattaforma digitale statale che danno ai presidi le informazioni che servono in un secondo. Si è visto che è possibile fare funzionare il sistema di questo Paese. Con questo inizio del nuovo anno scolastico riparte l’anno delle incognite. C’è da fare la finanziaria, non è semplicissimo. Bisogna completare le riforme e attuare quelle già fatte. Sulle nuove capacità esecutive delle burocrazie centrali e regionali ci giochiamo tutto.
C’è tanto, tanto di complicato da fare. Per la prima volta, però, dopo un’eternità, la gente sembra percepire che questo è il momento in cui le cose possono avvenire. Che non è più il tempo delle libere uscite a proprio piacimento. C’è, tuttavia, da non sottovalutare il problema di tutti i riformatori ovunque operino. Nella fase iniziale si paga sempre il prezzo a chi comandava prima. Tutte le rivoluzioni hanno una prima stagione caotica. Una seconda che paga i conti con il passato. Poi, arriva la riforma vera. Succede oggi con le assunzioni nella scuola. Se oltre il 50% dei docenti al Nord sono professori meridionali e chiedono di rientrare nei loro territori di origine, è evidente che i maggiori vuoti di organici si riscontrano al Nord. Questo, però, non deve impedire che dall’anno prossimo si faccia la riforma delle composizioni delle classi per ogni singola aula nelle regioni meridionali perché ci deve essere la parificazione tra Nord e Sud così come va anche aumentato il numero dei nuovi docenti scelti con criteri meritocratici.
Altrettanto deve avvenire nell’edilizia scolastica dove prima di tutto va saziata la fame di scuole e di aule moderne del Mezzogiorno. Bisogna, insomma, che il poi avvenga. Questo è il punto. Non deve finire come è successo con il centrosinistra che, dopo i conti prudenti con la realtà di Moro, non si è andati avanti, ma si è tornati indietro a una società di centrismo allargato. La svolta del ’64 di Carli-Colombo spinta dallo shock del tipo “se no arriva l’inflazione”, fece sì che non si andò avanti con le riforme che Fanfani aveva messo in campo nel ’63. I liberali nel loro piccolo e i dorotei nella grande Dc fecero il pieno di voti, ma della riforma urbanistica non si fece più nulla così come la programmazione fu lasciata cadere e fu addirittura sciolto il comitato per la programmazione. Non si andò avanti con la riforma scolastica che si fermò a quella di Fanfani del ’62 e, soprattutto, non si fece quello che si doveva fare per affrontare fino in fondo il grande squilibrio tra Nord e Sud nitidamente descritto nella famosa nota aggiuntiva di Ugo La Malfa del ’62.
Siamo un Paese pieno di squilibri e oggi più di allora dobbiamo metterci mano. All’epoca, di fatto, si lasciò cadere la grande questione dello squilibrio. Si portò certo con la nazionalizzazione l’energia elettrica in tutto il Paese, ma non si fecero le tariffe differenziate. Al Sud dovevano avere tariffe di favore perché dovevano fare il salto dello sviluppo, ma non fu così. Arrivò l’energia, non arrivarono le tariffe di favore.
Oggi, più di allora, bisogna tenere conto della realtà di questo Paese che è complicatissima. Come diceva don Milani non si possono fare parti uguali fra diseguali. Invece in democrazia vince l’uguaglianza e, cioè, diamo la stessa cosa a tutti, ma è qui che in Italia casca l’asino. Perché questa è la difficoltà strutturale di un Paese in modo assoluto persistentemente disomogeneo. Per ragioni storiche che vengono da lontano, ma anche perché abbiamo perso molte occasioni negli anni recenti.
Oggi siamo all’ultimo appello. La novità è che molti più di prima sembrano averlo capito. Speriamo che sia vero.
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