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RENATO CARPENTIERI, signore dal cuore grande e dall’animo popolare, padre e marito esemplare, amico di tutti ma veramente di tutti, e’ stato un giornalista giornalista fino all’ultimo secondo della sua florida vita. E’ morto nel giorno di corta allo stadio del Matera sua seconda casa.

Di ottant’anni di storia dello stadio della città ne aveva visto circa mezzo secolo notando e radiografando con certosina passione gli avvenimenti. Renato per decenni ha scrutato e raccontato su giornali locali e nazionali, per radio e con ogni mezzo di comunicazione il calcio materano ma anche memorie e fatti locali.

Al Quotidiano della Basilicata per circa sei anni per me è stato un punto di riferimento professionale e soprattutto umano. Avevo un rapporto con lui fin dai tempi in cui lavoravo in Calabria. Simeone ne lodava spesso la maturità di comportamento. Al mio arrivo in Lucania trovai in lui soprattutto un amico, anche se mi consegnava un ruolo di autorità e competenza che mi ha spesso gratificato.

Tra i primi, se non il primo, a cogliere le innovazioni che avevo iniziato a innestare nel giornale spezzando vecchie gerarchie di notizie e approfondimenti su versanti non ancora solcati. Era una chioccia di redazione. Metteva sotto l’ala protettrice i giovani e li accompagnava alla crescita senza preoccuparsi di tenerli sotto schiaffo. Occhio lungo e pancia a terra segnalava ragazzi in gamba e mai sbagliava sul loro futuro. Scopriva il talento e lo faceva crescere. Nelle mille difficoltà di avere corrispondenti metteva in gioco la sua personale rete di relazioni riuscendo a trovare notizie e risultati entro l’ora di stampa. Il suo pensiero era fare sempre di più’ e meglio senza lesinare impegno. Per lui il Quotidiano era un’impresa collettiva in cui era una sorta di senatore anziano di quelli che fanno molto spogliatoio. Difficile trovare difetti, ci saranno pure stati come in ogni uomo, ma così veniali da scomparire davanti ai suoi grandi meriti.

Generoso come un Garrone da libro “Cuore”: Spalancava la casa a chi aveva bisogno, si preoccupava di qualunque questione umana. Un amore viscerale per il Matera che spero resti fino all’infinito nell’aneddotica dei biancazzurri. Mi spiace averlo spronato poco a scrivere una storia del calcio materano in cui infilare i numerosi documenti che custodiva in qualche archivio. Soffriva visceralmente per una sconfitta, un momento negativo, era partigiano in questo. Non riusciva ad esprimere una critica terza in un’apparenza troppo decisiva per la sua esistenza.

Sapeva essere uomo di cronaca appena si chiedeva sostegno alle sue conoscenze di materano antico. Procurava foto, indicava fonti, non si sottraeva alla scrittura se in un fatto poteva aggiungere quella conoscenza alla Renato che aveva della città. La redazione materana era la sua seconda casa. Personalmente si adoperava per risolvere questioni tecniche e di relazioni che assillano le distaccate in un giornale. Quei capelli grigi gli consegnavano un’aria esperta che univa a quel grande carattere pacioccone che lo abbandonava soltanto in qualche vicenda sindacale di quelle che spesso ti turbano i pensieri. Averlo compagno di bisboccia a tavola era una grande allegria. Fu il primo a mostrarmi l’affaccio dei Sassi a Matera ed era profondamente orgoglioso di essere cittadino di quelle pietre che erano state la culla dell’umanità. Quasi se ne era impossessato Renato nel saper essere materano autentico. Quando lasciai il giornale aveva una smorfia di dolore sul viso. Gli dissi “Non cambia niente Renà”: E il suo silenzio era pieno di tante cose. Ora è veramente cambiato tutto Renà. Ci lasci un vuoto enorme. E tanti, troppi, ricordi. Sarò testimone della tua ricca vita di atti. Sempre. E ovunque tu sia, ora, si ritroveranno a fianco un giornalista vero di quelli che non ti abbandonano mai nel momento della difficoltà.

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