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REGGIO CALABRIA – Sono state concluse le indagini nei confronti del promoter culturale Francesco Sbano originario di Paola ma residente in Germania e il musicista reggino Demetrio Siclari, accusati dalla Procura delle Repubblica di Reggio Calabria di “atti persecutori” e “minacce” nei confronti di alcuni collaboratori del “Museo della ‘ndrangheta”.Secondo la ricostruzione dei magistrati i due si sarebbero recati al Museo della ‘ndrangheta «al fine di rivendicare i diritti d’autore per l’uso delle loro opere fatto dal Museo, e segnatamente delle canzoni “Nun c’è Pirdunu”, “Omertà”, minacciando gravemente i collaboratori del coordinatore del Museo, Claudio La Camera, Antonia Bellocco, Vincenzo Mercurio e Simone Squillace”.
In particolare Sbano, manager di Siclari, «sedicente autore dei brani» aveva apostrofato i collaboratori di La Camera accusandoli di essere d’accordo con la giornalista e studiosa Francesca Viscone impegnata in una battaglia culturale contro la diffusione di alcuni testi che rappresenterebbero la mitizzazione del fenomeno mafioso.Una battaglia culturale che secondo Sbano stava provocando in Germania dei danni all’immagine e ai concerti che il manager stava proponendo. Secondo la denuncia presentata a suo tempo Sbano era entrato nel Museo della ‘ndrangheta il 28 maggio del 2012 e minacciato gli operatori presenti e Francesca Viscone, insegnante e giornalista free-lance (che collabora anche con il Quotidiano di Calabria) che non era però presente. «Voi ci state causando un sacco di danni. Vi rovino», aveva gridato apostrofando Francesca Viscone in tono offensivo, con «il solito epiteto che gli uomini a corto di idee riservano alle donne».
Nella sostanza Francesco Sbano non accettava le analisi critiche della giornalista, esperta della materia, che negli ultimi anni ha espresso le sue opinioni negative sul valore della trilogia di Sbano “Canzoni di malavita”, prodotta con successo dal fotografo (in Germania sono state vendute circa 150mila copie). Il cd creò anche un caso editoriale quando venne allegato al libro fotografico di Alberto Giuliani “Malacarne” che si avvaleva dei contributi scritti di Roberto Saviano, Francesco La Licata, Antonio Nicaso, Nicola Gratteri e Rita Borsellino. Appena appresa la notizia tutti loro denunciarono pubblicamente di essere stati ingannati. Erano all’oscuro di tutto, insomma.La storia attuale racconta che Sbano non aveva per niente gradito il fatto che il Museo usasse alcune canzoni della sua trilogia nei laboratori di educazione alla legalità nelle scuole, presentandole come esempio negativo di esaltazione dei valori mafiosi. Dopo l’irruzione di Sbano al Museo della ‘ndrangheta, La Camera aveva presentato una denuncia per minacce alla Procura reggina. Dopo l’uscita degli album e i concerti alcune testate giornalistiche europee e americane avevano parlato di questi canti. Il Museo spiega invece che la diffusione delle canzoni di ‘ndrangheta non è un’operazione culturale fine a se stessa, ma fa parte di una strategia comunicativa che ha l’obiettivo di diffondere i valori mafiosi in Germania nascondendo il potere della ‘ndrangheta.
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