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“NESSUNO lo deve sapere” è stato uno sceneggiato di successo della Rai che, negli anni Settanta, per la prima volta ha raccontato la ’ndrangheta in televisione. Girato a Isola Capo Rizzuto, all’epoca suscitò lo sdegno pubblico di parlamentari calabresi verso un’opera di finzione che offendeva la dignità della Calabria.
Ci siamo assunti l’onere e la responsabilità di scrivere su questo giornale che un candidato alle prossime elezioni comunali nella lista della Lega era il nipote diretto del capoclan della cosca di Cosenza. A chiare lettere, come fossero le Tavole di Mosè, ho sostenuto che Mattia Lanzino, incensurato e dalla condotta specchiata, ha pieno diritto a candidarsi, ponendo invece una questione tutta politica che investe la Lega in Calabria, e non solo a Cosenza.
La vicenda a Cosenza ha messo in tumulto amici, parenti e sostenitori del giovane Lanzino che dai social hanno lanciato insulti, gridato al linciaggio, qualcuno per fortuna ha anche argomentato. Il loro ragionamento è stato questo: Mattia è un bravo ragazzo, ha la sfortuna di avere uno zio poco raccomandabile, perché rovinargli la vita e il suo desiderio di entrare in politica.
Sfugge a molte di queste persone il concetto di dibattito pubblico. Centrale in ogni elezione, anche se ridotto ormai a simulacro. Se un fatto esiste va detto e non omesso. Candidarsi significa presentarsi pubblicamente. La critica a noi rivolta in buona sostanza è stata questa: perché rendere pubblica questa notizia? Chi non la conosce è meglio che non lo sappia. Mattia è un giovane per bene non deve dare conto a nessuno Ci veniva chiesto insomma un “Nessuno lo deve sapere”, anche se molti sapevano, e “chi non sa perché deve sapere?”. Avevamo chiesto un’intervista a Mattia Lanzino per conoscere i motivi della sua adesione al partito di Salvini e le sue proposte. Non ha inteso aderire preferendo rilasciarci una dichiarazione che abbiamo pubblicato. Non c’è nulla di disdicevole in questo.
Mattia Lanzino, come la gran parte dei leader nazionali, regionali e di ogni sorta, da tempo preferiscono una comunicazione diretta priva di domande scomode fatte da giornalisti rompiscatole. Resta da dire che a nostro parere la candidatura di Mattia Lanzino è nata per caso. Uno dei tanti tra gli oltre 800 candidati raggruppati in liste che vogliono raccogliere le filiere parentali e di stretta conoscenza. La gran parte di questi candidati non dirà nulla sulla città. Un gioco algebrico che poggia sull’interesse dei pochi, fatta salva qualche eccezione. Non hanno nulla da temere dal dibattito pubblico i capoclan e picciotti di giornata sull’influenza sull’area urbana e provinciale al netto del cognome che portano. È sempre stato un tema rimosso dalle campagne elettorali. Guardare sempre dall’altra parte. Sono fatti loro. Far finta di nulla. Leggere al massimo i resoconti dei giornali. Qualcuno prenderà i loro voti senza farlo sapere a nessuno. Tranne che spunti qualche pentito.
Cosenza ha spesso finto di non vedere. Nessuno lo doveva sapere. Franco Pino allestiva l’addobbo floreale allo Stadio San Vito per la visita di Papa Wojtyla, c’era chi forniva impianti elettrici e vetrate all’edilizia, ai più massicci andava il ciclo del cemento, cosa loro anche il pesce ai ristoranti, le forniture di ruote ai gommisti, le discoteche sicure perché gestite da loro. Loro chi? Nessuno lo deve sapere. Ora affidano le agenzie di scommesse ai prestanome, controllano le cooperative. Un’economia malata. Ma nessuno lo deve sapere. Nessuno ne parlerà in campagna elettorale.
Questo è il dato cari amici e sostenitori di Mattia Lanzino, anello debole e innocente di questa ingombrante catena.
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