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COSENZA – La polizia è appena arrivata sul posto in cui hanno sparato a Francesco Bertocco. L’uomo si lamenta per le ferite che poi si riveleranno mortali, ma con le ultime forze trova il coraggio di rispondere alle domande dell’agente. Chi è stato a sparare? «Neputima», dice: mio nipote. E poi fa il nome: «Giovanni». Giovanni Bertocco? «Sì». Poi si sente la sirena dell’ambulanza che soccorrerà la vittima, ma inutilmente. L’intera sequenza è stata ripresa da un poliziotto che ha utilizzato il telefonino per registrare tutto.

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Giovanni Bertocco, 34 anni a giugno, da ieri notte è in carcere a rimurginare su quei minuti di follia che mercoledì sera l’hanno portato a uccidere lo zio. Su disposizione del pubblico ministero Giuseppe Francesco Cozzolino è stato posto in stato di fermo con l’accusa di omicidio aggravato. E’ reo confesso. Subito dopo il delitto si è costituito presso il comando provinciale dei carabinieri.

Nel corso di un lungo interrogatorio, che è terminato a tarda notte, Giovanni ha detto di aver ucciso a colpi di pistola lo zio a seguito di vecchi dissapori familiari. I rapporti tra i due non erano dei migliori. Lo hanno confermato gli stessi parenti più stretti descrivendo Giovanni come una persona difficile e dal carattere irascibile. L’omicida ha anche indicato il luogo dove ha abbandonato la pistola, un revolver 7.65, ma l’arma non è stata ancora trovata, così come il suo cellulare.

Nella serata di ieri, su disposizione dello stesso pm Cozzolino e della collega Paola Izzo, si è svolta l’autopsia, eseguita dal dottore Cavalcanti. E’ stato accertato che i colpi fatali, due in tutto, sono stati quelli che hanno raggiunto Francesco Bertocco al torace. L’uomo non è morto sul colpo. Ha perso la vita all’ingresso all’Annunziata, all’interno dell’ambulanza del 118. Prima di morire ha però fatto il nome del suo assassino (Giovanni Bertocco appunto) sia al fratello Giuseppe che a un agente della Volante (l’assistente capo Roberto Stefanizzi), che lo ha ripreso morente col suo telefonino. Agli atti ci sono ovviamente le dichiarazioni del reo confesso. Ha detto di essere uscito dalla sua casa di Piazza Gervasi alle 15.30 e di aver preso il pullman per via Popilia, al numero civico 133/1, dove abita il nonno Giovanni (suo omonimo), che non andava a trovare da diverso tempo, e dove è giunto intorno alle 16.30. «Volevo chiarire – ha detto al pm Cozzolino – alcune vicende familiari con mio zio Francesco, fratello di mio padre Massimo, ormai deceduto, vicende che si erano verificate pochi giorni prima e avevano incrinato i nostri rapporti». Il riferimento è a una forte discussione che l’omicida ebbe, nel periodo in cui era agli arresti domiciliari, con un suo conoscente. «Tale episodio – ha ricordato Bertocco  – è stato riferito a mio zio Francesco e questi si è molto arrabbiato con me per l’accaduto».

Giovanni Bertocco ha detto inoltre che allo zio non era andato giù il fatto che la madre, dopo la morte del marito, avesse una nuova relazione. Lo zio gli avrebbe anche per questo vietato di andare a casa del nonno: «Poiché non accettavo la restrizione che mi aveva posto mio zio, ho deciso di recarmi a casa di mio nonno». Ci è andato però con una pistola,  che l’omicida ha detto di aver preso dal sottotetto della sua abitazione: «Sono andato armato – ha spiegato – perchè avevo timore che mio zio potesse farmi del male in ragione delle diverse minacce di morte da lui effettuate in precedenza». Ha descritto l’arma come nera e con la matricola abrasa: «L’avevo da due anni, ma non so dire il calibro», ha aggiunto.

Dalle dichiarazioni rese dai familiari è emerso che Francesco Bertocco andasse con regolarità a fare visita al padre e che gestisse la sua pensione, utilizzandola per accudire il genitore e i familiari a lui vicini. Cosa che non sarebbe andata  a genio all’omicida, per come confermato nel corso degli interrogatori da sua sorella. E per la Procura è stato questo il motivo scatenante dell’assassinio. Ebbene, mercoledì sera, intorno alle 18, Giovanni Bertocco ha visto lo zio parcheggiare la sua Punto blu di fronte il numero civico 133/1: «Gli sono andato incontro – ha detto –  chiamandolo ad alta voce, con l’intento di avere un chiarimento su quanto accaduto nei giorni precedenti». A detta dell’omicida, però, Francesco Bertocco avrebbe reagito in modo violento, urlandogli contro parole offensive anche contro la madre. «Queste frasi al momento mi hanno fatto molto arrabbiare, ragion per cui, vedendo mio zio avvicinare la mano alla tasca del suo giubbino, ho deciso di prendere la pistola, già carica ma senza colpo in canna, armarla ed esplodere diversi colpi di arma da fuoco».

Bertocco ha detto di essere distante dallo zio circa otto metri e di aver esploso almeno cinque colpi all’indirizzo delle gambe della vittima: «Non sono riuscito a fermarmi e – ha aggiunto – ho continuato a sparare…». L’omicida ha proseguito dicendo di essere stato poi preso dal panico e di essere fuggito verso il carcere, di aver gettato la pistola vicino a una stazione di servizio e di essersi poi recato allo studio del suo avvocato, Maurizio Nucci, al quale ha raccontato dell’accaduto, manifestando la volontà di costituirsi. «Voglio ribadire – ha concluso – che non era mia intenzione attentare alla vita di mio zio e di essermi armato solo perchè temevo una sua reazione».
Il fratello della vittima, Giuseppe, ha detto che Francesco Bertocco subito dopo essere stato ferito è riuscito a salire a casa e a dirgli che a sparare era stato Giovanni Bertocco: «Queste – ha riferito nell’immediatezza agli agenti della Mobile  – sono state le ultime parole proferite da Francesco».

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