Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana
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LA BOCCIATURA è solenne e senza appello. Ed è il motivo per cui Luca Zaia e Attilio Fontana dopo aver letto la relazione redatta dal comitato dei saggi nominati dal ministero hanno chiesto subito di poterne parlare con la ministra agli Affari regionali Mariastella Gelmini.
Non era il testo che il presidente del Veneto e della Lombardia si aspettavano. Al contrario era un’analisi lucida e particolareggiata, dal punto di vista giuridico ed economico, delle ragioni per cui parlare di regionalismo differenziato nell’anno di grazia 2021 non ha più molto senso.
La Commissione tecnica, presieduta dal professor Beniamino Caravita, formata da 5 costituzionalisti di chiara fama, ha sollevato molti dubbi. A partire dall’interpretazione nel merito dell’articolo 116 della Carta costituzionale e a seguire dell’articolo 117, quello che indica le materie che lo Stato può devolvere “in particolari condizioni” alle Regioni. Stessi rilievi del gruppo di lavoro sulla parte finanziaria, oggetto nel giugno scorso di una serie di audizioni formali alle quali hanno preso parte tra l’altro membri del Consiglio direttivo dell’Ufficio parlamentare di Bilancio. Stiamo parlando di esperti in materia di federalismo fiscale come l’economista Alberto Zanardi e Chiara Gobetti, chiamata qualche giorno fa da Mario Draghi a far parte della cabina di regia che gestirà il Pnrr. Si è partiti da una prima bozza di documento raccogliendo i pareri di esperti di settore. E alla fine si sono tirate le somme. Ma il documento finito sui tavoli regionali non è quello che i due governatori leghisti avrebbero voluto.
ISTRUZIONE PUNTO CRITICO
Il punto più critico è il trasferimento delle funzioni relative all’Istruzione. Il cuore dell’autonomia differenziata, la materia che insieme alla sanità fa più gola agli autonomisti 4.0 e senza la quale qualsiasi forma di regionalismo spinto si svuota. Le valutazioni raccolte su questo punto non riguardano il carattere politico della richiesta. I saggi e gli esperti erano esentati da esprimere valutazione sul carattere identitario cose simile, aspetto centrale almeno quanto le risorse. Era importante però indicare in che modo quantificare l’entità dei trasferimenti e sciogliere le questioni finanziarie collegate al disegno di finanziamento del decentramento che la Commissione. Ed è proprio su questo punto che nel corso delle audizioni gli esperti hanno smontato pezzo a pezzo le pretese dei governatori del Nord.
Nella bozza d’intesa scritta nel febbraio del 2019 i nodi nevralgici erano tutti ancora aggrovigliati. Solo disposizioni generali, identiche per tutte le regioni richiedenti. Nella successiva bozza, datata novembre 2020, si faceva un generico riferimento ad una compartecipazione al gettito erariale e alla possibilità di misure transitorie in attesa del solito ormai leggendario aggiornamento dei Lep. Per avere una dimensione finanziaria di tutto quello che si porta dietro la scuola ad esempio il solo trasferimento del personale scolastico in Lombardia, basti dire che la sola Regione Lombardia riceverebbe dallo Stato 4,6 miliardi, 2,3 il Veneto e oltre 2 miliardi l’Emilia Romagna: 26,5 miliardi se tutte le regioni a statuto ordinario dovessero fare la stessa richiesta. Tutte le fonti di finanziamento dovrebbero essere ricollocate a favore delle regioni.
Senza entrare nel merito delle funzioni richieste, cambiando il soggetto che fornisce questo servizio pubblico, si modificherebbe l’aspetto organizzativo-regolamentare e tutto questo avrebbe un costo aggiuntivo. Uno spostamento di risorse che avrebbe comportato una profonda revisione dell’assetto normativo. Il finanziamento delle funzioni aggiuntive, separato dalla struttura generale di finanziamento delle regioni a statuto ordinario, non sarebbe stato oltretutto coerente con l’articolo 116 “che fa espresso riferimento all’articolo 119 e dovrebbe realizzarsi con modalità «il più possibile coerenti e integrate con il meccanismo di finanziamento di tutte le altre regioni».
Questi punti critici nella relazione dei saggi – relazione che la Gelmini avrebbe voluto restasse “segreta” – vengono puntualmente elencati. Così come le questioni più giuridiche sollevate dalla professoressa Anna Poggi, docente di Diritto pubblico all’Università di Torino e dal professor Giulio Maria Salerno, titolare nella stessa materia all’Ateneo di Macerata.
SENZA LA SCUOLA IL REGIONALISMO SI SVUOTA
Tutto il dibattito sul regionalismo differenziato per quanto riguarda gli aspetti delle risorse finanziaria gira intorno alla scuola. Da qui la delusione di Fontana e Zaia, Anche se in questi anni si è registrato da parte loro un atteggiamento ondivago. Da una parte la rivendicazione, il vessillo da esporre, dall’altra il rischio che comporta la gestione concreta dell’Istruzione. Un complicato periodo di transizione, l’eventuale scelta proposta ai docenti e non docenti di optare per ruoli statali o regionali. Un nuovo sistema di offerta formativa, la ridefinizione delle retribuzioni con eventuali differenziazioni di trattamento.
LA SCUOLA COME LA SANITÀ? NO GRAZIE
Per la geografia della finanza pubblica spostare una piccola funzione organizzativa non è come spostare la fornitura complessiva dell’Istruzione. I costi si moltiplicano. Tanta prudenza da parte dei saggi, con relativa inversione di tendenza, si spiega con gli effetti collaterali della Pandemia. Se si andasse avanti in questa direzione, con la regionalizzazione della scuola bisognerebbe costruire un sistema simile alla sanità sviluppando in modo simmetrico a tutte le regioni e non solo in quelle che ne hanno hanno richiesta. Per la sanità c’è un ammontare di risorse destinate a quella specifica funzione, quota che viene rivista di anno. Per la scuola dovrebbe esserci un meccanismo analogo, un fondo scolastico che alimenterebbe le regioni.
Le risorse – fanno osservare gli esperti, tenuti alla massima discrezione – dovrebbero essere attribuite in modo perequativo in tutti i territori a prescindere dal soggetto pubblico che li eroga. E questo contrasta con le richieste vagamente declinate da Veneto e Lombardia. L’ex ministra agli Affari regionali Erika Stefani, la pasionaria leghista dell’autonomia, aveva stilato una bozza d’accordo in cui si fissava un’aliquota sui grandi tributi nazionali fotografando la situazione in base alla spesa storica.
Una scommessa al buio fuori da ogni dinamica economica, contro ogni principio perequativo e contro ogni regola di riparto.
IL PARLAMENTO ESAUTORATO
L’altro punto sul quale la Commissione tecnica ha eccepito è l’iter di una eventuale legge-quadro modificata e corretta. I governatori, specie quelli del Nord, chiedono che le bozze di intesa una volta concordate non passino più attraverso una discussione parlamentare che le possa emendare. Governo centrale e governo regionale fissano un testo e quel testo rimane. Più che una richiesta, una pretesa.
Vincenzo Presutto, senatore campano del M5S, è vice presidente della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. Spiega: «Non mi sorprende che la relazione della Commissione tecnica abbia evidenziato serie criticità in merito al trasferimento dell’Istruzione alle Regioni. Il tema del Regionalismo differenziato – rileva Presutto – ha sollevato da sempre diverse perplessità, basta tenere presente gli accadimenti legati alla pandemia da Covid-19 durante la quale la Sanità gestita dalle Regioni, alcune delle quali si sono in più di un caso poste in conflitto con le indicazioni dello Stato centrale, al punto tale che diverse voci si sono sollevate per mettere in discussione addirittura la stessa riforma del Titolo V della Costituzione con la quale fu avviato il trasferimento di alcune materie concorrenti, quelle cosiddette “simmetriche”, alle Regioni. Tale percorso, avviato nel 2001, ancora oggi è rimasto incompleto».
L’Italia è a un bivio: o si applichiamo le logiche del Regionalismo e delle Autonomie nel rispetto della Costituzione, salvaguardando i principi di coesione e solidarietà, o, secondo Presutto, «dovrà essere rivista l’impostazione dell’intero Titolo V». «Il Pnrr ha in sé il presupposto per l’applicazione del Federalismo e delle Autonomie Regionali – osserva il senatore – consente allo Stato di adottare una politica nazionale strategica sui grandi temi, superando quel concetto di “spezzatino” regionale voluto con un Regionalismo differenziato che finora ha solo alimentato la competizione tra le Regioni. Con il PNRR, potendo operare sui grandi obiettivi e le relative missioni, si creano le condizioni per rilanciare l’Italia rendendola un Paese più moderno e competitivo, in grado di adeguarsi alle regole mondiali che stanno cambiando radicalmente e che, nel nostro caso, necessitano di un Paese sempre più unito, coeso e solidale colmando il divario economico, sociale e culturale tra Nord e Sud, come peraltro ci è stato esplicitamente richiesto dall’Unione Europea».
«Per questo – conclude il senatore Presutto – appaiono più chiari i motivi per i quali la Commissione tecnica, voluta dal ministero abbia escluso che il diritto allo studio possa essere sottratto al controllo dello Stato, e che sia attribuito invece alle singole Regioni richiedenti, visto l’alto rischio di creare sul tema dell’Istruzione, che è un valore portante della nostra democrazia, disparità tra i cittadini a livello territoriale».
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