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MATERA – Aveva tentato il suicidio già nell’immediatezza dell’omicidio di Christian Tarantino, l’amico d’infanzia, infliggendosi ben 12 coltellate all’addome. Per questa ragione, Antonio Favale, il 44enne di Rotondella morto lunedì nel policlinico di Bari, dopo il secondo tentativo di suicidio, non andava assolutamente lasciato in una cella ordinaria, senza un minimo di vigilanza.

Ne è convinto il suo legale, l’avvocato Pietro Di Taranto, che presenterà un esposto, per chiedere come sia potuto accadere che il suo cliente, «in stato psicotico avanzato», abbia potuto rompere uno specchio e con un frammento sventrarsi in modo devastante.
«Favale -spiega Di Taranto, sentito dal Quotidiano- negli ultimi venti giorni ha subìto diverse operazioni, con l’asportazione totale dell’intestino tenue, oltre a parte del colon, quindi era praticamente devastato.

Ieri la Procura ha disposto un’ispezione della salma, che probabilmente non sarà sottoposta ad autopsia. Sono in corso, pertanto, indagini esplorative, sui cui esiti non ci è dato ancora sapere nulla; si potrebbero tradurre nell’imputazione per probabili responsabilità nell’accaduto, oppure in una chiusura del fascicolo. Di certo noi vogliamo vederci chiaro, perché Favale non poteva stare da solo».

Il netturbino aveva avuto una difficile convalescenza, dopo il primo atto auto lesionista nell’imminenza dell’omicidio, dal quale psicologicamente non si era mai ripreso; quindi era facile immaginare che avrebbe potuto rifarlo.

Sul fronte giudiziario, il caso si chiuderà per la morte del reo, ma ciò che non dà pace alla moglie della vittima, Monica Lippo, che sta crescendo da sola nel dolore i suoi due figli piccoli, è di non sapere cosa abbia indotto quei due amici, che si volevano bene ed erano cresciuti insieme, a litigare con quella modalità furibonda. Cosa è accaduto quel tragico 23 gennaio 2021, per indurli a scontrarsi in quel modo?

Se le indagini ufficiali, chiuse a luglio dai carabinieri della Compagnia di Policoro, non saranno state in grado di ricostruire il movente, ci lavorerà di certo la famiglia Tarantino, come ci conferma l’avvocato penalista Antonio Palazzo.
«Dopo la dichiarazione di “non luogo a procedere per morte del reo” -ci ha spiegato Palazzo- chiederemo gli atti d’indagine, perché la moglie vuole capire cosa è realmente accaduto quel giorno. Se necessario, attiveremo anche delle indagini private, per capire il movente di quella lite; lo dobbiamo per giustizia nei confronti di un padre che ha lasciato due figli piccoli. Quella mattina -prosegue Palazzo- Tarantino ha ricevuto una telefonata da Favale; era tranquillo ed ha detto alla moglie che sarebbe andato a casa dell’amico per fare delle compere, dei giri.


Cosa sia accaduto dopo l’incontro dei due da stravolgere quel progetto, non è ancora chiaro; anche se noi abbiamo una ricostruzione a cui stiamo lavorando». Palazzo smentisce seccamente la pista del prestito di denaro non onorato: «Non esiste proprio -ci ha detto- è un’ipotesi campata in aria, semplicemente perché non ci sono i presupposti di un tale movente. Noi facciamo anche un appello ad amici e conoscenti dei due ragazzi, affinché collaborino per la verità, ovvero a ricostruire la dinamica dei fatti. Favale ha ammesso le sue colpe, solo dopo la notizia che le telecamere lo avevano ripreso rincorrere Tarantino con il coltello in mano».


Quindi, Palazzo, a nome della sua assistita non si esime da un’amara conclusione: «In questa triste vicenda, ciò che ha colpito ulteriormente la mia assistita, è il totale disinteresse e la lontananza della famiglia di Favale, che aveva la mamma e due fratelli; nessuno di loro si è avvicinato alla mia assistita, anche solo per una parola di conforto, o compassione, oppure per fornire qualche notizia utile alle indagini. Dal 23 gennaio nulla. Ci dispiace sinceramente per la morte di Favale -ha concluso Palazzo- ma oggi più che mai Tarantino merita che venga fuori la verità sul movente».

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