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Negli ultimi giorni di agosto abbiamo potuto leggere su “Il Sole 24 Ore” un articolo dal titolo: “Ferrovie, RFI investe 900 milioni per le merci tra Bologna e Lecce” in cui, tra l’altro, veniva precisato: “Strategico e funzionale a incrementare il traffico merci sull’asse Adriatico è anche la realizzazione del raddoppio del tratto ferroviario Termoli-Lesina, tra il Molise e la Puglia: è il solo tratto a binario unico (circa 33 chilometri della direttrice ferroviaria adriatica).
L’opera commissariata dal Governo per snellire e agevolare l’iter di approvazione e realizzazione, consiste nella costruzione di una nuova linea a doppio binario. Con il completamento del raddoppio aumenteranno le performance della intera direttrice adriatica: possibilità di far circolare più treni, maggiore velocità di percorrenza e aumento della regolarità del servizio ferroviario. L’investimento complessivo, già del tutto finanziato, è di 700 milioni di euro”.
Altro intervento essenziale e strategico, si legge nell’articolo “è l’ampliamento dello scalo merci di Bari. Il progetto consiste nella costruzione di una stazione ex-novo collegata alla rete ferroviaria nazionale e dotata di binari con una estensione, nel nodo, di 750 metri. L’obiettivo è portare lo scalo a contare complessivamente su binari per l’attestamento dei treni, oltre ai due già esistenti. Il progetto è articolato in due fasi funzionali, del valore complessivo di 155 milioni di euro, finanziato con fondi del PNRR per 120 milioni di euro. Oggi l’offerta del Polo Mercitalia da e per la Puglia è di oltre 100 treni merci a settimana. Questi treni permettono di trasferire il trasporto delle merci dal camion alla ferrovia, alleggerendo la rete autostradale con una elevata riduzione di CO2”.
Questa notizia l’abbiamo appresa, come dicevo prima, negli ultimi giorni del mese di agosto del 2021 e per testimoniare come e quanto questo nuovo impegno sia “vecchio” ho voluto solo dimostrare quando una simile linea strategica sia stata enunciata per la prima volta e nei trascorsi 40 anni.
Nel lontano 1981 l’allora Ministro dei Trasporti Rino Formica ritenne indispensabile ed essenziale il rilancio organico delle Ferrovie dello Stato; un rilancio sia nel comparto della offerta passeggeri che in quella delle merci. Un simile obiettivo andava raggiunto attraverso un intervento sostanziale sia nelle reti infrastrutturali che nel comparto tecnologico e del materiale rotabile. Una simile precisa volontà trovò, nella Legge 17/1981, il riferimento portante di tale iniziativa e, cosa più interessante, fu la copertura finanziaria di tale Legge: 12.000 miliardi di lire. Un importo per l’epoca davvero elevato e, soprattutto, fu il primo atto strategico di un Governo per il rilancio di una modalità di trasporto, quella ferroviaria, che in realtà era stata fino ad allora penalizzata nei confronti della modalità stradale.
È interessante leggere, nella relazione tecnica della norma e nell’elenco delle priorità da realizzare, sempre nel 1981, quanto segue: “è fondamentale la concreta realizzazione della fluidità dei transiti lungo l’asse adriatico attraverso il suo immediato quadruplicamento per rendere efficiente e funzionale il collegamento tra Sud e Nord del Paese”.
Nel 1984 con l’avvio del Piano Generale dei Trasporti questa attenzione e questo impegno al rilancio della rete ferroviaria, al rilancio organico della offerta ferroviaria, viene ulteriormente confermato sia con la identificazione della famosa T ad alta Velocità lungo i due assi Torino-Milano-Venezia e Milano-Roma-Napoli, sia con una attenzione particolare con il rilancio della offerta di trasporto delle merci in particolare, veniva ribadito nel Piano, “privilegiare interventi lungo l’asse ferroviario adriatico ancora privo di continuità funzionale per mancanza di quadruplicamento in tratti essenziali come quello nell’attraversamento del tratto della Regione Molise”.
Nel 2001 con la Legge 443/2001 (Legge Obiettivo) l’attenzione alle Ferrovie dello Stato viene ulteriormente accresciuta e non possiamo dimenticare che proprio grazie a tale Legge si è potuto completare, per quasi il 60%, il progetto dell’Alta velocità e, al tempo stesso, nell’elenco delle opere prioritarie presenti nel Programma delle Infrastrutture Strategiche previsto dalla Legge Obiettivo ed approvato dal CIPE con Delibera 21 del 2001 compaiono come essenziali tutti gli interventi ubicati lungo il Corridoio ferroviario adriatico. Il 30 gennaio 2013 la Commissione europea ha presentato il “quarto pacchetto ferroviario” che propone un approccio integrato volto a rivitalizzare il trasporto ferroviario dell’Unione Europea per favorire la creazione di uno spazio ferroviario unico europeo.
Il pacchetto comprende anche una dettagliata rivisitazione delle caratteristiche dei nodi stazione per la movimentazione delle merci ed in particolare impone una lunghezza minima della lunghezza del fascio binari di almeno 750 metri. Questo nuovo vincolo portava automaticamente alla reinvenzione di nodi ferroviari come quello di Bari Lamasinata. In questo lungo arco temporale di 40 anni, ripeto quaranta anni, ricco di azioni strategiche mirate al rilancio della offerta ferroviaria, compare sempre un progetto: il rilancio strategico della offerta ferroviaria lungo la linea adriatica. Ricordo che la difesa di una simile scelta era legata alla sempre più crescente capacità dell’area pugliese di garantire una quantità di merci sempre in crescita proprio nella relazione SUD-NORD-SUD e sempre più ricca di filiere merceologiche che trovavano e trovano nella offerta ferroviaria una ottima condizione di trasporto modale soprattutto se supportata da adeguati centri di interscambio modale e da assi non penalizzati da soluzioni di continuità o da caratteristiche tipologiche poco fluide.
Dopo questa lunga analisi che posso definire storica ritengo utile aggiungere una ulteriore notizia: nel 2013 la Legge di Stabilità 2014 stanziò apposite risorse proprio per dare avvio concreto alla attuazione funzionale al “Corridoio ferroviario adriatico lungo la relazione Lecce-Bologna”; l’importo messo all’articolo 1 comma 80 era pari a 350 milioni di euro e precisava: “Per l’avvio immediato di interventi di adeguamento del tracciato e la velocizzazione dell’asse ferroviario Bologna-Lecce è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2014 e di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016. Nelle more dell’approvazione del contratto di programma-parte investimenti 2012-2016, sottoscritto con RFI, è autorizzata la contrattualizzazione dei predetti interventi”.
Ebbene, in base a questa precisa volontà del Parlamento nel 2014 si riuscì a definire e concludere praticamente ogni iter istruttorio e a superare i vincoli imposti al tracciato sia dalla Regione Puglia che dalla Regione Molise e tutto sarebbe potuto partire entro il 2015 anche perché tale soluzione progettuale era stata inclusa nel Contratto di Programma delle Ferrovie dello Stato. Poi il 2015, il 2016, il 2017, il 2018, il 2019, il 2020 sono passati non per colpa di inadempienze delle Ferrovie dello Stato ma per ritardi nell’approvazione del Contratto di Programma delle Ferrovie dello Stato da parte delle Commissioni parlamentari competenti, per completa assenza di volontà operativa da parte dei Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti che si sono alternati in tale periodo e per blocchi davvero kafkiani da parte del Ministero dell’Ambiente, quest’ultimo ha chiesto per il raddoppio dei binari ulteriori approfondimenti sull’impatto ambientale dell’intervento e, in particolare, sul monitoraggio avifaunistico della zona.
In realtà è come se per sei anni tutto si fosse fermato utilizzando così le risorse finanziarie per altre finalità. Quella che ho tentato di raccontare è davvero una brutta storia perché in quaranta anni ed in particolare negli ultimi sei anni si è volutamente ritardato la realizzazione di un cordone ombelicale tra due realtà produttive del Paese: quella del centro nord e quella del sud che grazie ad un collegamento funzionale e sistematico come quello ferroviario efficiente avrebbe incrementato, in modo sostanziale, il Prodotto Interno Lordo di due Regioni come l’Emilia Romagna e la Puglia e, cosa ancora più grave, non possiamo dimenticare che il trasferimento di tali risorse su altre finalità si configura, a tutti gli effetti, come grave ed imperdonabile danno all’erario ed alla crescita di una realtà determinante come il vasto e variegato polmone socio economico pugliese.
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