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A POCHI giorni dal ritorno sui banchi, la difficile messa a punto definitiva di vaccinazioni, Green pass, trasporti e soprattutto della responsabilità dei controlli di una macchina tanto complessa – con Regioni e sindacati che mostrano a volte più di qualche resistenza a soluzioni il più possibile omogenee – non può lasciare in secondo piano le condizioni del nostro sistema istruzione preesistenti al Covid.
Condizioni, del resto, che per prime hanno finito per rendere difficilissima la gestione di un’emergenza sanitaria che dura ormai da quasi due anni e che ha trovato nell’azione particolaristica del federalismo regionale la premessa per l’ennesimo, mancato raggiungimento – ora come nel passato – dei Livelli essenziali delle prestazioni.
INVESTIMENTI 2021-2023
Se, in questo senso, il Pnrr esige un risanamento del nostro sistema scuola con l’impiego efficace delle risorse del Next Generation Eu – che passi da un ammodernamento sia delle infrastrutture materiali, quanto di quelle immateriali (edifici e digitale, innanzitutto) – l’approfondimento per voci del prossimo bilancio statale per il triennio 2021-2023 offre più di qualche spunto di riflessione.
La lettura attraverso l’analisi della Fondazione Openpolis dei documenti messi a disposizione dal servizio di bilancio del Senato poche settimane fa ci dice che l’Italia impiega il 4% circa del suo Pil nel settore istruzione (con investimenti quindi che non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi del 2008 – quando ad essere impegnato era quasi il 9% della spesa pubblica – e che perciò lasciano l’Italia all’ultimo posto nei Paesi Ue per la più bassa percentuale di spesa in istruzione), ma anche che su più fronti quella che emerge è una grossa eterogeneità territoriale.
Due aspetti, lo abbiamo sottolineato più volte, strettamente collegati. Dall’analisi dei dati emerge, in particolare, che se nel 2020 lo Stato centrale ha destinato circa 50 miliardi alla missione di bilancio 22 denominata “istruzione scolastica”, con oltre il 58% nel primo ciclo, quasi il 33% nel secondo ciclo ed il restante 9% in altri programmi, nel 2021 lo stanziamento sulla stessa missione cresce fino a 50,4 miliardi, per poi ridiscendere a circa 48 nel 2022 e a 46,6 nel 2023.
Non è tutto. All’interno dello stanziamento complessivo, a variare in modo significativo sono le allocazioni interne di risorse sulle singole voci. Il calo in termini percentuali tra i più marcati si registra per il programma 16 della missione 22, ovvero quello riguardante la “realizzazione degli indirizzi e delle politiche in ambito territoriale in materia di istruzione” (ossia, le funzioni svolte dagli Uffici Scolastici Regionali a livello periferico), che passa da 406,71 milioni di euro nell’assestato del 2020 a 142 milioni previsti per il 2023, con una diminuzione del 65% (-63% rispetto al 2021).
Razionalizzazioni, con ogni probabilità, che non potranno però non tenere conto di ciò che il Mef-Ragioneria Generale dello Stato richiama proprio nel documento di budget per il triennio 2021-2023 del Ministero dell’Istruzione. E cioè che, proprio al Ministero sono attribuite, tra le altre, le funzioni statali in materia di “definizione degli indirizzi per l’organizzazione dei servizi del sistema educativo di istruzione e di formazione nel territorio al fine di garantire livelli di prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale. Valutazione dell’efficienza dell’erogazione dei servizi medesimi nel territorio nazionale” e “definizione dei criteri e parametri per l’attuazione di politiche sociali nella scuola e definizione di interventi a sostegno delle aree depresse per il riequilibrio territoriale della qualità del servizio scolastico ed educativo”.
Contenuti quanto mai lontani dal tentativo di retromarcia di regioni del Nord (come il Veneto) e parti politiche (come il Carroccio) che tuttora faticano ad accettare anche solo l’idea che un servizio essenziale come la scuola (o come la sanità) possa essere garantito, almeno nei livelli minimi, su tutto il territorio nazionale.
EDILIZIA SCOLASTICA
Riguardo il prossimo triennio di spesa per l’istruzione, cresce, invece, lungo tutto il periodo, il programma 8, dedicato allo “sviluppo del sistema istruzione scolastica, diritto allo studio ed edilizia scolastica”, che potrà contare per l’85% su spesa in conto capitale (dall’81% nel 2020).
In particolare, gli investimenti sull’edilizia scolastica sono gli unici a registrare un aumento praticamente continuo, da 1,12 miliardi nel 2020 a 1,53 nel 2022, per poi flettere a 1,44 nell’anno successivo. Con lo stanziamento più marcato dedicato proprio agli “interventi per la sicurezza nelle scuole statali e per l’edilizia scolastica”.
Questa voce di spesa passa da poco meno di 816 milioni di euro nel 2020 a quasi 1,3 miliardi nel 2022, per poi assestarsi su 1,2 miliardi nel 2023. Una scelta più che comprensibile, dal momento che il 17,8 degli edifici scolastici statali in Italia è classificato come vetusto (cioè, con oltre 50 anni di età) e che il Pnrr sottolinea la necessità di interventi a tutto campo proprio sulle infrastrutture scolastiche. Ciò che il Piano chiede nel capitolo istruzione, infatti, è di trasformare le scuole non solo in ambienti sicuri, ma anche adatti a svolgere la didattica digitale attraverso edifici connessi alla rete ultraveloce e nuovi laboratori didattici.
Partendo – punto nevralgico di una mole così importante di spesa pubblica – dalla condizione e dalle carenze preesistenti e dall’abbandono di un patrimonio immobiliare scolastico che l’emergenza Covid ha solo riportato in primo piano. Ma che preesiste sul nostro territorio da decenni, con divari e diseguaglianze molto ampi tra Nord a Sud e tra aree interne e centro non solo in termini di sicurezza antisismica, ma anche riguardo le certificazioni igienico-sanitarie ed antincendio, l’efficientamento energetico, la presenza di barriere architettoniche, l’agibilità di palestre e spazi all’aperto, la presenza di fonti di inquinamento, la disponibilità di strade e mezzi di collegamento adeguati, e molto altro.
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