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Partito il countdown per la presentazione delle liste, a Napoli si rinnovano gli appelli alle coalizioni in campo per prevenire l’inserimento negli elenchi elettorali di nomi di possibili “impresentabili”. Ieri è stato il turno del procuratore generale presso la Corte di Appello di Napoli Luigi Riello, che ha richiamato un precedente intervento del numero uno della Prefettura di Napoli: «Il Prefetto Valentini è stato chiaro e perentorio: la camorra è una zavorra per Napoli, non basta rispettare le prescrizioni di legge ma è vitale un “quid pluris etico”. I candidati alla carica di sindaco si sono dimostrati apparentemente pronti a raccogliere l’invito a presentare “liste pulite”. (…) Ma parliamoci chiaro: è proprio necessario, tra tante persone perbene, incensurate e prive di pendenze penali, candidare chi è sottoposto a procedimento per voto di scambio, corruzione o altri gravi reati?».
Con il rigore e la chiarezza che lo contraddistinguono, Riello – che ha raccolto l’invito a partecipare al dibattito sulla “città dei vent’anni perduti” aperto da Ottavio Ragone su “Repubblica”– ha anche ricordato il dramma di commercianti e imprese, sintetizzato nei dati della Camera di Commercio, ovvero: 101 fallimenti, 5471 attività commerciali chiuse, 3575 cessioni di aziende, 500 richieste di finanziamento, 26 istanze presentate da vittime dell’usura, «uno dei reati più infami e odiosi». Cifre che da sole spiegano dove e come attecchisce il “Welfare della camorra”, atavica piaga che, insieme ad altre, è alla base della cronica arretratezza della città: sociale, culturale e civile. Numeri che richiamano quelli pubblicati sulle stesse pagine (qualche giorno prima) a firma di Marco Rossi- Doria: già prima della pandemia il 23% di napoletani era sotto la soglia di povertà (media italiana 12%); il tasso di occupazione femminile qui è al 25,6% (a Milano è del 63,9); il 9,7% delle famiglie è in grave disagio economico (record nazionale); i giovani che a 25 anni non hanno un diploma sono il 23% (nel resto d’Italia si arriva al massimo al 14%). Dati che spiegano anche perché Napoli all’ultimo censimento aveva solo 959.188 abitanti, oltre alla crescente denatalità, infatti, cresce sempre di più la migrazione di giovani verso il Nord e verso l’Europa. E, come è stato più volte sottolineato, ad andarsene via sono quasi sempre imigliori (quelli che hanno voglia di lavorare, di migliorarsi). Insomma, un disastro.
E come ha scritto Rossi Doria: «Una città con questi numeri non può crescere e rischia di restare fuori dalla stagione del rilancio italiano e ancora in preda alla camorra». Un rischio troppo grande per la malconcia Napoli, già duramente segnata (dal dopoguerra in poi) e ora reduce da un lungo tsunami emotivo fatto di banale quanto invasiva retorica antipolitica, demenziale demagogia digitale, fumoso antipartitismo da “nipoti dei fiori”, populismo estivo e televisivo, confusi sovranismi da Campi hobbit, risibili e fallimentari rivoluzioni da pub e altre più o meno colorate scorie del peggiore Novecento.
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