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E’ UN’immagine molto triste, quella dei residenti di vico Piave, intenti a chiedere un’autorizzazione agli agenti del Corpo forestale dello Stato, per entrare nelle loro case recuperare quelle poche masserizie ancora prelevabili al fine di poter restituire una parvenza di normalità alla propria vita estirpata altrove.
Loro, quelli delle palazzine prospicienti il civico 22, sperano che presto venga messo in sicurezza il varco di accesso alle loro abitazioni.
«Noi non c’entriamo niente con il crollo», dice una signora, che preferisce aspettare il marito prima di entrare, con il terrore ancora negli occhi dopo otto giorni. Quella mattina del 11 gennaio alle 7.40 era in casa con i suoi due figli piccoli, «all’improvviso abbiamo sentito un boato ed un rumore molto simile a quello di un grosso camion che scarica, poi la nuvola di polvere e la constatazione del disastro».
Ora si sono trasferiti altrove, ma in vico Piave ieri mattina sono tornati a recuperare un po’ di vestiario, qualche alimento deperibile, come un bustone di mandarini.
Stessa scena si ripete con un anziano accompagnato dal figlio 40enne, che ha recuperato una cassetta di arance e qualche altro bene. Loro abitano da quasi mezzo secolo in vico Piave e mai avrebbero immaginato che un evento così drammatico, li avrebbe sradicati violentemente dalla loro quotidianità. Oggi tutti i dirimpettai alla palazzina crollata, sperano di poter tornare presto a casa, anche se per entrare dovranno attraversare un tunnel di sicurezza. Intanto inizia a manifestarsi un altra preoccupazione: quale sarà l’effetto della prevedibili piogge torrenziali tra la coda dell’inverno e l’inizio della primavera su quel tufo ormai esposto?
Una domanda legittima, a cui occorrerebbe fornire una risposta in tempi rapidi, perchè se prima le infiltrazioni d’acqua erano subdole, probabilmente affioranti dalle fondamenta, ora il corpo di fabbrica delle due palazzine limitrofe a quella crollata è completamente esposto alle intemperie. La riflessione veniva spontanea già ieri mattina, guardando la pioggia battente che si insinuava tra gli effetti personali di quelle vite sgomberate o spezzate, come nel caso della 31enne Antonella Favale. Un’acqua che rischia di trasformare in poltiglia anche quelle macerie da cui verosimilmente gli inquirenti si augurano di trovare delle risposte. Che dire poi dei civici 18 e 20, ormai abbandonati senza intravedere un futuro immediato?
a.corrado@luedi.it
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