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MATERA – Si indaga anche sull’ipotesi di abusi edilizi, probabilmente regolarizzati solo sulla carta, per fare luce sulle cause del crollo in vico Piave.
La palazzina collassata improvvisamente, avrebbe patito un peso sproporzionato rispetto a quanto poteva sopportare, quando fu realizzata agli inizi del Novecento.
L’ipotesi investigativa starebbe prendendo corpo attraverso la documentazione che la Procura ha richiesto alla Regione e che gli uffici di via Anzio forniranno nei prossimi giorni. In pratica il civico 22 di vico Piave, ma probabilmente anche le palazzine limitrofe, avrebbero dovuto avere solo il piano terra e un ammezzato; dagli anni Settanta, non si sa se abusivamente o in possesso di qualche sanatoria, pare che con la dicitura “sostituzione di solaio” siano stati realizzati gli altri tre piani, più una mansarda al civico 20, che si reggevano praticamente su di un basamento argilloso, concepito originariamente per reggere solo i muri portanti e l’ammezzato. Un carico probabilmente intollerabile per quei muri larghi solo 50 centimetri, come attesta anche il verbale redatto il 23 dicembre 2013 dall’ingegnere comunale Lamacchia Acito.
Quindi, la Procura starebbe spulciando tutto il fascicolo storico dell’edificio, per capire quando e con quali autorizzazioni siano stati realizzati quei piani aggiuntivi circa 40 anni fa.
Dietro vico Piave, insomma, potrebbe nascondersi una delle tante storie all’italiana di concessioni in sanatoria, condoni e ordinari abusi sanati al buio.
Tutte ipotesi per il momento, perché l’ufficio della dottoressa Annunziata Cazzetta, che coordina le indagini interforze, sta lavorando alacremente per verificarle. Un’opera che in questa fase calda non conosce pause, procedendo a ritmi serrati anche di domenica e sotto una pioggia battente. Ieri mattina, infatti, il procuratore capo di Matera, Celestina Gravina, ha effettuato insieme al pm Cazzetta un sopralluogo alla presenza di un pool di Consulenti tecnici d’ufficio, capeggiato dal dottor Albino Colella. La delegazione, accompagnata dai carabinieri, è arrivata in vico Piave alle 10.40 sotto una pioggia torrenziale. Dopo circa cinque minuti di briefing nella zona libera dal sequestro alla presenza anche di Pino Montemurro, dirigente dell’ufficio Ambiente del Comune, sono entrati nell’area del cratere del crollo con l’ausilio dei Vigili del fuoco, coordinati dal comandante Eugenio Barisano.
Dopo una prima occhiata al cumulo di macerie, dove si sono fermati a discutere per qualche minuto, il pool è entrato nel civico 20, quello da cui si accedeva ai cantieri per la realizzazione del ristorante con galleria d’arte di Nico Andrisani. Non si sa su cosa si sia soffermata l’attenzione degli inquirenti, ma è certo che da quel lato si può ancora vedere il muro portante su cui lavorava la ditta esecutrice dei lavori, che è rimasto in piedi.
A pochissimi metri, sotto le macerie, è stato trovato il corpo senza vita di Antonella Dina Favale. Un sopralluogo durato ventidue minuti, alle 11.02 i magistrati si sono allontanati dall’area ed il procuratore capo, avvicinato dal Quotidiano, non ha lasciato trapelare nulla, trincerandosi dietro la frase protocollare: «La legge non consente di dare notizie sulle indagini».
Risulta, comunque, al Quotidiano che l’attenzione della Procura sia concentrata anche su quei tre piani realizzati negli anni Settanta. Lì potrebbe celarsi la causa storica della debolezza strutturale di quell’edificio, che potrebbe essere stata ulteriormente sollecitata da interventi successivi. Resta il dato, testimoniato da tutti i residenti, che su quella facciata recentemente ristrutturata si erano aperte delle crepe vistose e visibili anche a distanza.
Non un pericolo immediato, almeno a leggere il verbale dei Vigili del fuoco, ma certamente da non far stare tranquilli. Ci si augura che le indagini facciano presto chiarezza, ma il sopralluogo di ieri mattina, domenica e sotto una pioggia battente, lascia presagire che la Procura vuole capire subito chi e perché deve rispondere di questo disastro, ampiamente annunciato e prevedibile.
a.corrado@luedi.it
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